caduti sulla cruenta trincea coi nome della gran madre sul labbro, così anche il secondo bilancio, accanto alle distrutte o guastate superbe opere di Tiziano, del Pordenone, del Veronese, del Moretto, del Piazzetta, del Tiepolo, del Bon, del Mosca, di Tullio Lombardo, del Vittoria, del Marchiori, del Canova, elenca un’ infinita schiera di artisti minori ma pur sempre notevoli, e di altre anonime tele e sculture secentesche o settecentesche, di anonimi affreschi campagnuoli del ’300 o del ’400, opere non tutte registrate nella storiografia ufficiale dell’ arte, ma che pure un giorno rispecchiarono l’aspirazione di un’anima individuale o collettiva verso un ideale di bellezza e parlarono una parola di nobiltà e di fede oggi muta per sempre. I nostri alleati di ieri, come talvolta dimenticano i nostri morti, così ignorano o mostrano di ignorare l’olocausto di opere d’arte, immane olocausto da noi offerto sull’altare fumante della comune vittoria. Il mondo intiero ben giustamente si commosse e rabbrividì alle notizie del martirio della Cattedrale di Reims o dell’incendio della Biblioteca di Louvain; ma appena brevemente parlò dell’annientamento del sublime affresco del Tiepolo agli Scalzi di Venezia ; nè più nulla mai disse di tutte le altre nostre perdite. Eppure quanti furono tra noi gli edifìci monumentali rasi al suolo o devastati ! Di circa 500 città, paesi o villaggi e frazioni da me visitati sulle tre fronti, 330 ne ho trovati colpiti, più o meno gravemente, nel loro patrimonio d’arte, così da meritare che io mi vi indugiassi a raccogliere notizie, per quanto possibile, precise e ad eseguire fotografie di danni non ancora tutti cancellati. E se in molli di essi non meritava attenzione che la chiesa parrocchiale o curaziale, in altri pur molti a questa si aggiungevano altre belle chiese minori, o cappelle, o palazzi pubblici, o privati, o ville, o fontane. Nell’insieme il numero degli edifici distrutti o danneggiati in sè stessi o depauperati in lutto o in parte di suppellettili artistiche raggiunse circa due volte e mezza il numero dei paesi, superando i 700. Impossibile è poi dire nemmeno approssimativamente a quante ascendano, nel loro insieme, le singole opere d’arte, nel senso ampio della parola, infrante, incendiate, deturpate, delapidate, scomparse, mutilate. In ben pochi casi abbiamo potuto trovare un inventario esatto di quanto esisteva avanti guerra; mentre le chiese e più le case private e le ville dell’Isonzo, del Trentino, del Piave, anche fra le meno note, erano quasi tutte ricche e molte riboccavano di antiche tele, di antichi ritratti famigliari, di antiche suppellettili, di ceramiche, di stoffe, di argenterie, di libri e di pergamene, su cui si lanciarono come avvoltoi da preda le soldatesche nemiche, le quali tutto asportarono quanto poterono, — belle miserande ricchezze che oggi adornano, non nobile trofeo, castelli e case d’ oltralpe. Nè basta. Chè a colmo di jattura e ad irrisione feroce della sorte, talvolta le rovine dovettero venir fatte dalle nostre stesse mani, per cacciare il nemico da dove si era momentaneamente annidato, o per respingerne definitivamente gli attacchi furiosi. E noi ci trovammo così a inferocire, con volto pietrificato dal dolore, contro le nostre stesse carni, contro la nostra stessa anima. Il castello di San Salvatore di Susegana, la villa Guarnieri di Romanziol, cumuli di macerie sotto cui le artiglierie italiane seppellirono capolavori d’ arte non mai sostituibili, ne fanno prova sufficiente. E contro la villa-castello di Loppio, come narrammo, puntava le bocche della sua batteria il suo stesso proprietario, capitano del nostro esercito! Onde io credo che, se moltiplicassimo anche, mettiamo, per 100 quel numero di 700 più sopra indicato, ancora saremmo lungi dal contare con approssimazione quanti oggetti interessanti per la storia o per l’arte ci ha rapiti o guastati la guerra, fra i quali, ■oltre quelli preziosi già noti, altri si celavano, nè sappiamo in che numero, forse di raro valore ma ignoti ed inapprezzati. Poiché assai più che il numero di tutti, conta e pesa il pregio di ciascuno. E ciò senza parlare degli edifici architettonici e delle opere d’arte più recenti, di cui ho tenuto conto solo quando o per il nome ben noto dell’architetto o dell’artista o per eccezionali pregi evidenti più sì imponeva il ricordo.