La terra, ed alla terra insiem permista La calce, che le membra tenerelle Rode senza pietà? Qui, suo malgrado, Si curva il forte, ed il nervoso braccio Piegasi al suol : perderò ogni vigore I muscoli vibrati, or che cangiata L’ ossa in mal soda calce hanno natura. Questi solinghi taciti ritiri Simili son di Salomone al tempio; Nè colpo di martel più vi si ascolta, Nè delle agili ruote urto o fragore. Più non ricambia le preziose merci Cupido negoziante : alle guerriere Imprese rinunzia l’eroe di sangue. II feretro è il contili, ove si ferma Nè progredisce più 1’ uraan disegno. Qui i tigli del piacer congedo eterno Prendon dalle delizie, e dai più cari Diletti 1 «r; non più profumi e grati Olezzi ingombrali l’aere, o vaghi fiori Formali serti alle fronti, e il grappol pieno Sen viene a rallegrar. Vuota è la mensa De’travagliati cibi: or l’uomo è il pasto Di turpe insetto, che di lui si pasce. 0 rose di beltà, come languiste? Chi bianchi gigli di pallor vi pinse Nel cupo seno, ove la tomba esclude Il variato color ? Ah morte, il pregio Vero tu rechi a tutto ; e all’uomo inspiri Quel che mertan quaggiù vero dispregio, Di natura e di sorte i doni frali.