- 47 — — Ora va, va ! Ti prego. — Perchè mi preghi? — Perchè ti ucciderei se rimanessi. — Come? — Lo so io come... —disse furba come un bimbo. Lo accompagnò fino ad un cespuglio, lo spinse fuori del giardino. Poi ritornò e, abbracciando un tronco d’albero, disse piano con un po ’ di stizza : « Jeronimo, ti mordo ». Battè coi pugni il tronco, poi andò nella sua stanza e slacciando con furore il suo corpetto di velluto, arruffando i suoi capelli biondi, si guardò nello specchio cogli occhi pieni di lagrime e le labbra tremanti. Poi si gettò sul letto mormorando sotto voce, soffocata dai sospiri, delle parole dolci, straordinariamente dolci e carezzevoli, tra le quali si sentiva un nome solo pronunziato più forte: « Jeronimo». Ma lo stesso non accadde a Ieronimo. Si avvicinò alla via stretta. L’aria notturna lo destò ed essendo di natura molto meno sensuale che la sua colomba egli rimase colla convinzione terribile d’amarla. Attraversò la via scura col suo passo leggero, nel quale si sentiva, direi così, l’elasticità, come la si sente in un cavallo di razza ; quando sentì dietro di sè un passo sicuro, regolare come quello d’un soldato e riconobbe Castelmare. Sostò e si volse dalla parte da cui giungeva il rumore... Castelmare lo raggiunse. Silenzio. Ieronimo battè nel muro la punta della sua sciabola e a quel chiarore i due rivali si riconobbero. Allora senza che essi scambiassero una parola, le sciabole cominciarono ad incrociarsi, poi si udì un lamento... la