Viene la sera. E la notte cade rapidamente come è solita nel mese di novembre dal cielo d’acciaio, sulla terra frustata dalla tramontana e sul Danubio eccitato e deserto. Il prete Tonea guarda dalla finestra la riva sulla quale sbatte nel vento qualche cespuglio di rosa canina e più lontano nel gorgo danubiano, le acque che si tormentano e si urtano e dal largo si riversano verso la riva come migliaia e migliaia di serpenti nuotatori, tenendo sopra l’acqua vivace le creste bianche e indietro agitando anelli mostruosi. Il prete abbassa di nuovo gli occhi sul Saltero e seguendo piuttosto il filo dei ricordi che quello del libro recita i versetti eterni : « Imperocché ecco che io nell’iniquità fui concepito e nei peccati mi concepì la ¡mia madre. Ed ecco che tu hai amato la verità : tu svelasti a me gli ignoti e occulti misteri di Tua sapienza. Tu mi aspergerai coll’issopo e sarò mondato; mi laverai e diverrò bianco più che la neve. Mi farai sentir parole di letizia e di gaudio e le ossa umiliate tripudieranno»... Sì, questa gioia, questa beatitudine spirituale, le ha conosciute il padre Tonae. Vi furono dei tempi in cui il salmo e tutte le letture