— 190 — altri corti e tristi, cominciò a cadere la brina, e a diradarsi le foglie del cespuglio. Verso sera si vedevano le rondini tardive che volavano radendo il suolo, o volate d’altri uccelli migratori, e nel silenzio delle notti fredde s’udivano i gridi delle gru: andavano tutti nella stessa direzione, verso mezzogiorno. L’anima della povera quaglia si dibatteva in una lotta straziante. A-vrebbe voluto dividersi in due — una metà partire coi figli sani, che soffrivano pel freddo dell’autunno inoltrato, l’altra rimanere col piccino mutilato che si attaccava a lei disperatamente. Il soffio nemico della tramontana giunta senz’avviso in un giorno, la decise. Piuttosto che lasciar morire tutti i suoi figli — meglio lasciarne morire uno e senza voltarsi indietro per non indebolirsi nella decisione presa, volò via coi piccini forti, mentre che quello ferito gridava disperatamente : —- « Non mi lasciate, non ani lasciate » ! Cercò di trascinarsi dietro di loro ma non vi riuscì e rimase sul posto, seguendoli cogli occhi, finché non sparirono all’orizzonte verso il mezzogiorno. Tre giorni dopo tutto, intorno, era vestito in abito invernale bianco e freddo. Dopo una bufera seguì un sereno trasparente come vetro portando con sè un gelo aspro. Sul ciglione della macchia un piccino di quaglia coll’ala rotta sta raggomitolato pel freddo. Ai terribili dolori patiti fin’ora segue un torpore piacevole. Attraverso la sua mente lampeggiano frammenti di visioni... la stoppia... una tromba di stivalone sulla quale sale una formica... l’ala calda della mamma. Vacilla da una parte all’altra e cade morto, cogli artigli delle zampette congiunti come per una preghiera.