— 17 — le grate nere, finestre che sembravano appartenere a celle abbandonate ; una sola era tutta intrecciata d’edera, e dietro a quella rete di foglie scure si vedevano, in vasi di terra, piante di rose bianche che sembravano cercare il sole colle loro testine. Questa finestra dava in una cella le cui pareti erano ornate di curiosi schizzi fatti alla matita, sparsi un po’ dappertutto; là un santo, qui un cagnolino, che si dimena nell’erba, lì un’immagine di giovanetta molto bene eseguita, poi fiori, cespugli, teste di donne, cuffie, pantofole, un vero libro di schizzi sparso sulle pareti. Un armadio con libri ecclesiastici, una sedia dalla spalliera alta, abiti monacali1 appesi ad un chiodo, un baule dipinto a fiori svariati, un letto semplice sotto al quale si vedevano un paio di pantofole ed un gatto nero, ecco tutto l’arredamento. Attraverso la rete viva e tremolante, penetravano i raggi del sole e riempivano la semioscurità della cella con strisce di luce, nelle quali si vedeva il pulviscolo in moto che ballava nel regno d’un raggio e poi spariva insieme ad essa.. Sulla sedia era seduto un giovane monaco. Egli si trovava in quei momenti di pigrizia piacevole che ha talvolta anche il cane quando stende al sole tutti i suoi muscoli, pigro, sonnolente, senza nessun desiderio. Una fronte alta, larga, regolare, sopra la quale i capelli formavano una cornice nera e lucente, era posata al di sopra degli occhi sprofondati nelle orbite, un naso fine, una bocca dalle labbre sottili, un ¡mento rotondo, gli occhi soddisfatti, diremo così, di loro stessi — guardavano con una certa coscienza di sè che sarebbe potuto diventar audacia — la loro espressione era un curioso miscuglio 2