— 213 — si nel sonno. L’arcangelo Michele ritornò poi verso la casa dell’uomo. Tolse dalla carniera un po’ di stoppa, cercò dei carboni sotto la cenere del focolare, li mise sulla stoppa e ficcò il batùfolo sotto il tetto di canna. Più tardi, essendo per la strada, si volsero. La casa del poverello ardeva con lingue di fiamme che salivano nel cielo. L’arcangelo Michele sorrideva, ma l’eremita sospirava angosciosamente e non potè frenarsi : « Ah, santissimo, — gemette dolorosamente, — è giusto ciò che hai fatto ora? Anche questo è volontà del Signore?». «Anche questo è volontà del Signore», rispose dolcemente l’angelo. Continuando la strada, passarono il confine d’un altro villaggio. Ed ecco una casetta sulla strada tra le aiuole di fiori con la porta e le finestre aperte. A due passi di là, in una piccola vallata, scorreva un ruscello dal mormorio dolce e le api d’oro attraversavano la luce azzurra del giorno come una trama. I padroni erano altrove al lavoro ed in casa piangeva nella culla un bimbo lattante. «Senti come piange il piccino...» — disse l’eremita impietosito. L’arcangelo Michele senza dir nulla passò la soglia della casetta; prese il bimbo dalla culla e uscì tenendolo in braccio. Pece qualche passo verso il ruscello e gettò il bimbo nelle onde irrequiete. L’acqua si solcò per un istante, lo ricevette e l’inghiottì. L’eremita rimase pietrificato cogli occhi grandi, spalancati dal terrore. « Santo Michele — gridò egli con la voce strozzata ■— cosa hai fatto? sei tu un messo del Signore o m’inganni?