— 249 — quilibrio e si riversò sul prete, seppellendolo neifa notte dolcemente profumata e pagana dei suoi capelli neri. Quello ritrovò la forza per staccare gli anelli della treccia e saltò fuori alla luce. La prima cosa che vide e sulla quale rinfrescò un po’ la mente padroneggiandosi fu, al di là della superfìcie scintillante del Danubio, la chiesa nella quale egli diceva messa senza fallo da dieci anni. Lì da dieci anni il padre Tonea serviva Gesù Cristo, il Signore dei cuori immacolati, del potere di vincersi e dall’amore che può tutto se non si lascia immergere nelle onde di sangue e di desideri vani. Lì da dieci anni egli era intermediario tra il trono di Gesù Cristo e le anime che gli erano affidate per conservarle e salvarle, e la sua mediazione era di giorno in giorno: pura, onesta, ignara dell’argento peccaminoso, di ubriachezza o di sregolatezza, d’orgoglio o di cattiveria. Lì da dieci anni egli lavorava per rendere produttivo il talento affidatogli da Dio. E tutto quel risultato del suo penoso lavoro quotidiano durante dieci anni doveva andare forse interamente perduto in una sola volta nell’abisso dell’empietà ! — Ah, Signore Santo! metti attorno a me la guardia dei Santi Principi e aiutami ad essere forte senza crudeltà e umano senza macchia! Ritornò con fermezza in camera. Borivoie piangeva abbandonata sul divano, soffocando i singhiozzi nel cuscino. Una pietà e tenerezza altamente cristiana riempirono il cuore di padre Tonea. — Borivoie! ti voglio bene anch’io, mia cara, ma come ad una figlia di chiesa e alla sorella che