— 223 — indistinta e sparsa. I monti del mezzogiorno rialzavano creste su creste nere, verdi e grige secondo che portavano i boschi, i prati o soltanto i cappucci calcarei. Son voluto salire fino'alla punta che vedevo da casa. Sembrava ora una fortezza di pietra, incoronata con torri corte e rinforzata da una parte da un muro fortissimo. Questo muro irregolare e largo dominava la vallata della Dimbovitza e di là lo sguardo cadeva sul vuoto e nel precipizio. Ma non ero ancora in cima. Ho superato la salita quasi perpendicolare e finalmente sono giunto sull’altezza grigia e orgogliosa. Ero tra le nuvole e la terra e tutt-’intorno, nell’infinita variazione della prospettiva immensa, si spandevano le ombre delle nuvole e lo splendore del sole. Soltanto da una parte una cima dal nome ignoto squarciava diretta-mente le nuvole e formava una specie di ganghero gigantesco su quella pergamena doppia scritta al di sopra colle nuvole del cielo e di sotto col rigurgito delle montagne. Mi sono riparato tra le roccie dal vento flautato ed ho sognato ed ho pensato. E intanto che le nuvole senza pioggia passavano al disopra di me, pensieri senza gioia e senza felicità riempivano la mia mente. Che senso dare a quest’incontro e che consolazione e che promesse chiedere a questa giornata di luglio, a questi monti immobili, a questi prati ondulati?... Mi sono sentito debole, debole come lo stelo che cresce lì tra le roccie e la voce dell’umiltà cristiana piangeva nel mio cuore. Oh, non vi nascondo che le rose vostra crescevano più sù di tante migliaia di fiori su questi pendìi felici, che il ricordo vostro vinceva in me ogni altra bellezza e