— 200 — Volevo chiedergli perchè non fosse mai entrato nel paese, per vedere le sue conoscenze, ¡ma m’arrestai. Zio Michele era un uomo eccezionale, così come ne ho visti pochi in vita mia. Ci dev’essere una causa in tutto ciò, pensavo tra me, ma a noi non era concesso di conoscerla dal momento che egli non ce la palesava. Lo guardavamo solamente aspettando, perchè egli fissava il fuoco, e si ricordava di qualche cosa... — Qui, dall ’altra parte del lago, dove io scendo coi cavalli... cominciò egli scandendo le parole, c’è una tomba, ragazzi... C’era una volta una croce di legno, ma il tempo l’ha rovinata. Quando sono passato di là la prima volta quest ’anno, mi sono fermato per guardar bene, credendo che fosse stata ingoiata dai torrenti della riva, ma ho visto che l’acqua non arrivava fino alle ossa ivi seppellite... E vi dormiranno in pace per molto tempo... A-desso nessuno sa di quella tomba; e voi molte volte vi siete passati schiamazzando, senza sapere che lì giace Irina del Dascla del paese nostro... Ma la tomba ha una storia... Vi era nel paese, a Dumbroveni, un sagrestano, Calistrat, altissimo, con i baffi grigi che gli cascavano giù come la stoppa. Ed aveva una moglie vecchia, piccola, dalla lingua cattiva, una vera calamità. Nella loro casa, spuntò rigoglioso come un fiore ■— state attenti ragazzi — l’Irina della quale vi racconto io... Padrone del paese e di altre sei proprietà era un gran signore, che aveva per amministratore un certo Giorgio Alvanit, forestiero, uomo violento e bello... «Al di là del lago tra i monti dove pascolo ora le nostre pecore, anche allora pascolavano le pecore dell’am-