Era una mattina d’estate. Il mare si stendeva nella sua immensità azzurra, il sole s’alzava lentamente nel sereno celeste cupo del cielo, i fiori si destavano freschi dopo il lungo sonno della notte, le roccie nere di rugiada fumavano e si rifacevano grigie; solo qua e là si staccavano da loro i frammenti di pietra e i grumi di sabbia impigriti dal caldo. Su certi picchi rocciosi verso l’O-riente s’innalzava un vecchio convento, circondato da mura, simile ad una fortezza, e dietro alle mura sporgeva di quà e di là la sua cima, un castagno o un pioppo. Il tetto di tegole ammuffite terminato a punta, la volta nera della chiesa, le pareti che la cingevano, sfasciate o oppresse nella loro rovina da piante grasse, da formiche che creavano stati, da lunghe processioni d’insetti rossi che si avviavano con molta pigrizia, una porta di quercia d’una antichità secolare, le scalinate di pietra consumate e rosicchiate per l’uso, tutto ciò nel suo insieme ti faceva credere che quello fosse piuttosto un rudero lasciato per curiosità, che un’abitazione. Alla destra del convento s’alzavano monti con boschi, giardini, vigneti, piccoli paesi dalle casette bianche