— 135 — contro la scienza umana. Avrei voluto che mi dicesse cosa le dolesse, che mi maledicesse, che mi odiasse, che volgesse gli occhi dall’altra parte, che la finisse una volta con quegli sguardi d’una bontà ed una pazienza sovrumana... Non sentivo la sua voce che raramente e quando mormorava : « — T’ho detto, t’ho detto di non amarmi se la tua scienza ti avesse assicurato che non sarei vissuta. Sento una pietà infinita rubarmi le ultime notti di riposo, quando penso che ti lascerò di nuovo solo al mondo... Più in là non so se sento qualche altra cosa... Sono così debole che non ho più forza per amare e la coscienza limpida di sapere chi amo. « Non le rispondevo nulla. Le baciavo le mani. « I miei pensieri erano una specie di nebbia che mi stancava il cervello. « Il giorno in cui partorì—sentii un dolore mostruoso nel fondo delle viscere. Mi sentii pietrificato dallo spavento guardando i tormenti di cui la natura ha bisogno per infondere la vita nelle nuove generazioni. Per tre giorni e tre notti ella non aperse gli occhi. Il suo respiro era debole, appena velava lo specchietto. Il cuore batteva irregolare e raramente, solo raramente irrompeva il sangue con una rabbia incomprensibile, le mani trasalivano, la faccia s’illuminava e le labbra cercavano di staccarsi una dall’altra. Consultai uno dei più rinomati dottori italiani, un buon vecchio, uno scienziato, il cui sorriso provava che davanti ai grandi problemi dai quali dipende la vita e la morte era ri-