— 123 — « Mi laureai con un gran successo. La mia tesi era un lavoro speciale. Accumulai in essa molte osservazioni e molta lettura. « Ad un consulto il dott. Marcovic, che ani amava e stimava in me il taciturno, lui uomo dalla facile parola, un genio che non ebbe la possibilità di svolgersi, e che stimava in me il giovane di talento povero e inosservato, mi chiamò per sentire il mio parere. Curava un vecchio malato, vedovo, minato da una tisi lenta, che non si faceva sentire ed era impedita nel suo corso dai viaggi nei paesi caldi. In un mese lo rimisi in piedi. « Dopo qualche giorno ricevetti una lettera del vecchio. Mi pregava di andare a casa sua. Vistomi, mi strinse la mano con grande effusione. Mi ringraziò delle buone cure prodigategli nel tempo della malattia e senza che io potessi dire una parola, mi parlò rapidamente. « — No, no, il dottor Marcovic mi ha assicurato che lei, soltanto lei mi ha salvato e Marcovic è un grande dottore, onesto e sincero. « Finii col pranzare tre volte alla settimana con lui. A-veva una figlia di 18 anni, piccola, bionda, delicata, mite, timida, leggera nel camminare, non si sentiva che il fruscio di seta dei suoi abiti vaporosi, pallida, dal naso fine, dalla bocca piccola, dal labbro inferiore un po’ spaccato', con due fossette sulle guancie ad ogni sorriso, dagli occhi azzurri tagliati a mandorla, umidi, buoni e limpidi, messi sotto due archi di sopracciglia finissime che svanivano sulle sue tempie azzurrognole. I capelli biondi tremolanti fi- lo a filo ad ogni movimento della testa, scendevano dalla