— 247 — una voce tremante per l’emozione e poco avvezza alla lingua romena. Allora il prete potè distinguere una stanza alla turca, e sul sofà dinnanzi a lui distesa tra i cuscini Ih bella Borivoie. Era evidente che una burrasca nervosa l’aveva gettata lì dove si trovava. Il suo respiro era irregolare, le braccia agitate e dal tintinnio delle monete d’oro che portava al collo, sotto la collana di tre file, si vedeva il petto ricoperto soltanto di monili morire e risuscitare, tormentato da un segreto pazzo. Al posto delle rose canine innocenti del primo incontro così prospero e felice, le gote della Borivoie porgevano ora alla vista certe rose insanguinate e sradicate. Ed invece del mattino ingenuo che c’era nei suoi occhi di allora, vi ardeva un pomeriggio profondo e tragico. « Scusami, signora Borivoiie... Sono venuto in cerca di Padron Traico, perchè mi ha mandato a chiamare...» « Egli è partito... presto, lontano con Nichita, qui ha lasciato incartati i denari.... » E raccogliendo le sue forze e stringendo intorno a sè le poche vesti che la coprivano', Borivoie si era alzata in piedi e aveva mostrato a padre Tonea col braccio sul quale scivolarono e si urtarono i braccialetti d’argento, una carta sgualcita. Il prete la prese cogli occhi bassati a terra, la nascose in seno e rimase muto. — Siedi padre... per parlare con noi... Traico è andato lontano con Nichita..... — Grazie, signora Borivoie, ma ho molta fretta perchè ho ancora da fare qui, a Cladova. Borivoie dall’intonazione della, voce capì il rifiuto.