— 112 — ha bisogno per essere felice che di un po’ d’intelligenza per scegliersi la pettinatura,per spolverarsi gli abiti, per lucidarsi le scarpe e per mentire sempre. Si potrebbe, quasi con sicurezza, ad un piccolo segno predire vent ’anni prima quale bambino arriverà ad essere un uomo ricco e felice e quale morirà come ha vissuto, povero ed infelice. Se all’età di cinque, sei anni, apre degli occhi deboli e freddi, indifferenti, secchi e grandi, non vi riman dubbio che la grettezza dei sentimenti è in lui in istretto legame colla meschinità del cervello e queste due stupidaggini sono sufficienti per renderlo felice durante tutta la vita. Ma se al contrario i suoi occhi s’ingrandiscono, s’impiccioliscono, — se si contraggono nervosamente, — se battono senz’ordine — e se nella rabbia come nella gioia si accendono e brillano, —< ciò basta per convincerti che questa vita che sfavilla dagli sguardi, scaturisce da un fuoco di vita della materia accesa del cervello e che queste due vite sono sufficienti per tormentarlo durante l’intera sua esistenza, sopratutto nel mondo nostro furbo e sciocco, verniciato ma ignorante fino alla selvatichezza. Io, non arrivato a nulla e sconosciuto a tutti (non crediate che voglia lodarmi) posso dirvi che per caso sono venuto a questo mondo bambino vivace, irrequieto, compassionevole, smoderato in tutto, alternando nel medesimo istante il riso al pianto, dolorosamente sensibile, ignaro della differenza tra uno schiaffo ed una parola cattiva o brutta. Avevo un solo difetto: di essere povero. Ciò era sufficiente... Qui si fermò. Sorbì il tè. Alzò la spalla destra e fece più volte col naso un he-hi come se avesse voluto ridere