stenti preghiere delFImperatore che si astenne dal farlo. (Ottobre 1303). Questo stato di cose acuì ancor più l’ostilità dei Genovesi contro i nuovi venuti e, quando il Megaduca lasciò Costantinopoli per recarsi a combattere gli Osmani in Asia Minore, i Genovesi raddoppiarono le loro pressioni per scuotere la fiducia di Andronico nel corsaro e nei mercenari che aveva chiamati in suo aiuto. Non si deve ritenere che l’atteggiamento assunto dai Genovesi fosse dovuto soltanto ad un desiderio di vendetta, ma era più di tutto causato dalla gelosia commerciale. Invero insieme agli almugaveri erano giunti sul Bosforo anche marinai e commercianti catalani spinti dalla speranza che questo fosse il momento propizio per iniziare il loro commercio nell’impero. Era infatti logico pensarlo perchè l’occasione era per questi troppo favorevole e non poteva essere lasciata sfuggire da gente avveduta e scaltra come erano i Catalani. Il Mun-taner stesso conferma che il Mpgaduca trattò colPImperatore per ottenere ai suoi Catalani privilegi di carattere commerciale con conseguente danno dei Genovesi. Quando le forze catalane partirono per l’Asia Minore, in quella vasta regione si trovava già un esercito bizantino al comando del Por-fìrogenito Michele. Questo Principe non aveva fino allora mai avuto l'ardire di venire a contatto con il nemico, sebbene avesse ai suoi ordini un esercito di 100 mila fanti e di venti mila cavalieri. Quando egli seppe dell’arrivo del Di Fiore volle far ritorno alla capitale per non combattere sotto i suoi ordini. Prima di lasciare Costantinopoli il Megaduca volle assicurarsi di aver sempre alla sua immediata dipendenza l’armata navale. Ciò gli era necessario per avere la sicurezza dei rifornimenti e per qualsiasi eventualità si fosse presentata nel corso della spedizione. Egli fece perciò nominare Ammiraglio dell’impero il catalano Ferrante d’Aunes suo amico fidato, al quale fece anche dare in moglie una parente dell’imperatore. Il desiderio del Di Fiore era pienamente giustificato dal timore che i Genovesi potessero riuscire durante la sua assenza ad infondere preoccupazioni nell’animo di Andronico e persuaderlo ad abbandonare il Megaduca alla sua sorte tra le inospitali montagne dell’Anatolia. Nell’autunno, imbarcate le forze da sbarco sulle navi della flotta, il Di Fiore attraversò il mar di Mannara e sbarcò ad Artaki, piccola città alla base della penisola di Cizico, nelle vicinanze della quale egli sapeva essere accampato l’esercito osmano. L’indomani dello sbarco all’alba egli ordinò l’assalto del campo nemico. I Turchi vennero sop’rafatti completamente dopo un combattimento vivacissimo nel quale gli almugaveri si batterono in maniera eroica contro un nemico di forze assai superiori. I Turchi perdettero tremila uomini a cavallo e duemila fanti. Tutti i superstiti che avevano più di dieci anni trovati nel campo vennero tagliati a pezzi. Il bottino preso fu assai rilevante. Il Megaduca ritornò subito dopo la battaglia ad Artaki e fece caricare a bordo dell’armata tutti gli schiavi 66