Comunque siasi, egli è certo che il carattere della mascherata in discordo ricordava nella sua essenzialità con chiarezza più che sufficiente 1’ uniforme garibaldina, e credo di poterla buon diritto sostenere che gli accusati ben la sapevano tale. E cosa troppo notoria, perchè vi sia d’uopo di prova, quali indumenti distinguono in sostanza il costume stesso da tanti altri, com’è cosa notoria anche a gente di scarsa cultura chi sia Giuseppe Garibaldi, quali le sue gesta, le sue tendenze. E stimerei invece di far grave torto agli accusati se mi facessi a dubitare, forse pur lontanamente, eh’ essi non conoscessero il significato politico del vestito che indossavano la sera del diciassette prossimo passato febbraio, imperocché, se anche i medesimi non appartengono per intelligenza alla classe eletta dei cittadini, non sono neppure collocati sull’infimo gradino della scala sociale. Ma se fosse d’uopo di prova, che il carattere di quella mascherata era garibaldino, l’avemmo nella nota della direzione di polizia di Venezia, competente ad informare in questo argomento, e nel deposto del testimonio Bonnet, che pugnò contro le schiere di Garibaldi. Tale infatti fu a prima giunta ritenuta da moltissime persone, che presero parte al veglione, e tale lo qualificavano anche le vociferazioni nel proposito corse a Gorizia e prima della festa e dopo, del che tutto fanno fede molti testimoni, dei cui deposti fu data lettura nel corso del dibattimento. Anche Stefano Bucian, trovandosi nella trattoria attigua al teatro, all’ apparire delle maschere stesse in quel locale, udì una voce, proveniente da un crocchio di persone, che conversavano in quella sera familiarmente con esse maschere, pronunciare a voce alta e in tono festoso le parole «Evviva i garibaldini!». Poco importa poi che la mascherata onde trattasi, abbia fatto sovr’ altri individui nessuna o diversa impressione, avvegnaché il deposto di singoli testimoni non sia pel giudice criterio sufficiente per infierirne, che quel costume dovesse destare o avesse effettivamente destato un’ eguale impressione anche nella maggioranza delle altre persone intervenute alla festa. Senonchè gli accusati non solo conoscevano il significato del costume adottato, ma era loro determinata intenzione di portare in scena precisamente un costume di soldati garibaldini. Siffatta intenzione, risulta anzi tutto dal numero rilevante degli individui, che spontanei od invitati presero parte alla mascherata, - dai già accennati distintivi sul cappello del Favetti, - dal fazzoletto di seta nera, che, ad imitazione di Giuseppe Garibaldi, egli portava annodato al collo, del che fanno prova la sua ammissione fatta nell’istruttoria del processo ed il deposto del testimonio dott. Kuscher, coi quali distintivi, congiunti al suo atteggiarsi ed al suo affaccendarsi, come rilevasi dal deposto del testimonio de Battistig e di altri ancora, esso si dava l’aria di capo di quella comitiva. E qui si notò che il cappellaio Mighetti smentisce il Favetti nella giustificazione, esser stato probabilmente il cappellaio stesso quello, che a sua insaputa ed a ogni modo senza suo incarico appose sul suo cappello gli avvertiti distintivi. Si aggiunga che le maschere femminili avevano, come dissi, 1’ aspetto di vivandiere e sembravano quindi destinate a ricordare la vita agitata dei campi di battaglia, si aggiunga che l’avere il Camelli ed il Dorese preceduto di circa un quarto d’ora l’ingresso delle maschere nella platea, avuto riflesso a tutte le circostanze, genera il gravissimo sospetto, che volessero prima esplorare, se qualche ostacolo vi si frapponesse alla loro entrata con quel costume dimostrativo. Ma havvi ancora di più. Durante il veglione e più ancora nei giorni successivi, come attestano più testimoni, erasi sparsa la voce, che le maschere garibaldine, danzando la friulana nel bel mezzo della platea, avessero proferito o cantato il noto ritornello : «Uno, due e tre, Garibaldi nostro Re ! ». Non si è potuto eruire la prima fonte di tale vociferazione, ma non sembra che questa poggiasse del tutto sul falso, dacché il testimonio Antonio Zimar ci narrò di aver effettivamente inteso in quella sera proferire le accennate parole da qualcuno della folla in teatro, senza saper indicare da chi, e neppure se da qualche individuo mascherato o meno. 26