Reduce da Recoaro, dove s’ era recato per ritemprarsi a quelle fonti, si era spento a Venezia, il giorno tredici ottobre 1822, lo scultore Antonio Canova, la cui fama aveva riempito il mondo intero. Figlio d’un oscuro scalpellino di Possagno, si era fatto, mercè il suo genio ed il consiglio del celebre studioso dell’ antichità Hamilton, rinnovatore dell’ arte statuaria, traendo esempio dai Greci e, ancora venticinquenne, nel 1782, s’era imposto all’ ammirazione dei contemporanei col gruppo di Dedalo ed Icaro. Alla sua morte lasciava centosettantasei opere compiute - tra cui il mausoleo di Papa Rezzonico a Roma, quello di Giovanni Falier suo protettore a Venezia, la statua di Washington, quella di Napoleone, Amore e Psiche, le Tre Grazie e cinquantaquattro opere incompiute. La dipartita d’un sì grande ingegno trovò un’eco profonda anche a Gorizia, dove Pietro de Valeri stampò un sonetto, preceduto da quest’introduzione: «Nell’occasione che la Città di Gorizia partecipando al lutto universale per la perdita dell’ illustre Cavaliere Antonio Canova, Marchese d’Istria ecc., celebrò nella Cattedrale le di lui esequie. SONETTO Genio a produr, che nè fioriti campi Spaziando del Bel, le auguste norme Ne concepisca in mente in un sasso informe Vita, sensi, ed affetti imprima, e stampi, Sudò Natura ; e rotti alfin gl’ inciampi Ch’ ostano al riprodur perfette forme, Creò Canova, che seguendo l’orme Da lei segnate, al di lei foco avvampi. Ma d’un emulo tal quasi gelosa Che vide in marmi ricopiar se stessa, E imitar 1’ opre, ond’ ella va fastosa, . Alla terra l’invola, e a lui concessa Nell’ Empireo una sede luminosa Del Bel la Fonte a vagheggiar l’appressa. La Città di Gorizia 213