venivano mandati ad acquistare quelle sostanze cervellotiche, inventate dalla fantasia di qualche burlone, per potersi prendere gioco del prossimo. I burlati ritornati a casa con lo scorno venivano accolti con le parole : AvriI, aoril, avril, la giata le sul sii (Aprile, aprile, aprile, la gatta è su in cielo). * La sera del primo aprile 1854 la compagnia dammatica di Giovanni Leigheb, che dal quattro marzo agiva sulle scene del nostro teatro, fece sbellicare dalle risa il pubblico accorso, con una commedia di forte colorito goriziano intitolata: «I peccati della serve di Gorizia». II primo atto aveva per argomento il ritrovo delle serve dopo gli acquisti mattutini, il secondo s’imperniava sul ballo mascherato tenuto in una delle due birrerie della città. Ecco l’elenco degli interlocutori: Tinsa (Monti); Le serve Anzolute (Bugamelli) Mariansa (Rassoli) - Pepisa (Leigheb) - Orsoluta (Giov. Rosa) - Fransela (Gaet. Rosa) ; Faustino (Brunone) ; Pasquale (Massari) ; Battistino (Rassoli) ; Gaspero (Leigheb) ; Giuseppe (Zacchi) ; Francesco, oste (Monti); 1° Cameriere e 2° Cameriere. * Un grande avvenimento teatrale ricordavano con molto piacere i nostri vecchi : L’Accademia musicale tenuta nell’aprile 1869 in onore di Gioacchino Rossini, spentosi pochi mesi prima, il tredici novembre 1868, a Passy nella villa regalatagli dalla città di Parigi. Già nella stagione d’opera in Quaresima, con «11 Barbiere di Siviglia» e il «Don Pasquale», diretti dal maestro capodistriano Alberto Giovannini, Gorizia aveva avuto la fortuna di un insolito spettacolo artistico. Questo aveva trovato una degna continuazione nel-l’Accademia musicale in cui avevano preso parte ben centottanta esecutori, tra cui la Banda civica con cinquanta sonatori sotto la direzione di Francesco Gollob, l’orchestra formata di settanta filarmonici diretta da Carlo Mailing e una sessantina di cantori, tra gli artisti della cessata stagione d’opera e gli allievi della Civica Scuola di musica e alcuni provetti dilettanti cittadini. I dodici numeri del programma comprendevano due sinfonie, una della «Semiramide» e l’altra del «Guglielmo Teli» nonché brani dello «Stabat Mater». Tra gli esecutori di quella memoranda serata si guadagnò generale simpatia la valente dilettante di canto contessa Karacsay. Un ignoto vate goriziano scrisse un componimento poetico che, uscito in bella veste dai torchi del Paternolli, venne offerto alla contessa, a nome di molti ammiratori, la sera del sette aprile 1869. Alla Nobile e Gentilissima Signora Contessa Giuseppina Karacsay quale tenue pegno di ammirazione D’alti doni preziosi dispensiera Ma parca madre e nel donar severa, Natura nei suoi figli rado aduna Arte e Fortuna Ma in Te, Gentil, dell’ opra si compiacque Sì che mutar costume anco le piacque, E d’ogni vanto T’allegrò il cammino Almo destino. Come leggiadro fior che seco tragge Sua fragranza soave a nuove spiagge, E fulge al par che in la natia sua terra In altra serra. Così alla zolla di Virgilio nata E d’Isonzo alla sponda trapiantata, Ovunque brilli di splendor gentile In vago stile. Con Te, per Te vita alfin potea Quella che in cor fervea ambita idea, Inneggiar di Rossini alla memoria. E alla gloria. Itala gloria e celestiale ingegno Che Italia fece a riverenza segno, Che agli Angeli tolse 1* alma cetra Lassù nell’ etra. 52