e terminanti in punta come quelli dei mongoli. Camerieri della Chiave d’ oro, camerlenghi imperiali, con zimarre tutte rabescate d’oro, canonichesse vestite di seta nera con la fascia bianco-rossa a tracolla. Rappresentanti d’ogni arma, a cominciare dalla cavalleria con gli elmi monumentali per terminare con la milizia territoriale dal cappello di feltro con le pennacchiere di penne di gallo. Il lettore, dopo questa descrizione, potrà facilmente immaginare la tavolozza vivente, che si vedeva in quel giorno girare per la città. L’impressione che destavano quei vecchi rimbambiti malamente reggentisi sulle gambe, pallide ombre di ciò che erano stati un giorno, era simile a quella dataci dalle comparse di una grande parata d’operetta lehariana. Gli scolari vestiti a festa erano diretti verso la propria scuola per prendere parte, allineati due a due, sotto la scorta dei maestri, alla processione. Ci ricordiamo ancora i maestri della scuola di tirocinio, la cosiddetta Scuola di pratica a piano-terra dell’ edificio del Ginnasio superiore in via delle Scuole, che in quel giorno indossavano la divisa di panno nero con le filettature azzurre. Nella Chiesa di Sant’ Ignazio venivano consegnati agli scolari i vessilli (bandièris), che avevano servito agli allievi dei Gesuiti e dei Piaristi, per portarli in processione. Tra gli scolari si accendeva una zuffa, a base di spintoni e di calci tirati in sordina per non essere sorpresi dagli insegnanti, onde poter portare quei serici drappi gialli istoriati. I vessilli sembravano in quel momento le vele di una nave sbattuta dall’infuriar dell’uragano. La processione teoforica usciva dalla Metropolitana preceduta dall’ interminabile fila di scolari, dagli ascritti alle pie congregazioni, dai confratelli delle Corporazioni delle Arti che intervenivano con i loro altissimi stendardi. Di queste ultime ricorderemo ancora quelle esistenti sul finire dell’ altro secolo. La Confraterna dei calzolai e conciapelli, che quale più anziana godeva la prerogativa di precedere il baldacchino sotto il quale si trovava il Principe Arcivescovo, portante 1' ostensorio, fiancheggiato da soldati armati che avevano sul chepì (giaco) tre foglie fresche di quercia. Gli stendardi di seta azzurra, riccamente ornati a foglia d’ oro, portavano nel mezzo le iniziali S. M. corrispondenti a Santa Maria (Annunziata) sotto la cui protezione stava la Confraterna. La Confraternità degli orologiai, bottai, maniscalchi, fabbri, carrozzieri e sellai aveva stendardi di seta damascata bianca e azzurra. Seguivano la Corporazione dei sarti, che risaliva al 1742, la Confraterna dei muratori, fondata nel 1759 e quella dei falegnami, istituita nel 1768, che aveva stendardi di damasco arancione. Apriva il corteo di codeste corporazioni artiere la Confraterna dei setaioli, la più recente, essendo stata fondata il dieci maggio 1773. I suoi serici gonfaloni, di colore giallo zecchino, garrendo al vento lasciavano ammirare i pannelli del Pároli rappresentanti i Santi Ilario e Taziano, protettori della città e San Girolamo, patrono di quell’ arte. Dietro il baldacchino veniva il podestà con un grosso cero acceso in mano seguito dai valletti municipali. A questi facevano coda i dignitari, che dianzi passammo in rassegna, le Figlie di Maria, le Terziarie e la lunga scia di cittadini e di campagnoli, che portavano in mano le prericordate ghirlande di fiori. Il gonfalone della Confraternita dei setaioli Segnale di processione dell’Arte dei calzolai 109