aìla signora Cargnani onde avvertirla di non incomodarsi a fare il viaggio fino a Salcano per ispezionare l’appartamento, senonchè per quell’anno non avessero intenzione d’appigionarlo. Sotto gli occhi del suocero scrissi il biglietto che poi ella spedì. Venuto il buon T. in conoscenza di ciò - mi fissò bieco in viso e poi con voce stentorea - d’ ora in avanti adunque disse « io farò non più nulla in casa mia ! » lo trangugiai l’amaro boccone senza averne la minima colpa e senza rispondere parola. La prossima domenica poi visto che non giova nè pregare nè supplicare, gli dissi francamente che abbisogno dei Fior. 200 per un calesse a comodo di sua figlia, e che se egli non gli ha e non può trovarmeli, sarò costretto a contrarre un mutuo. Su di ciò egli mi rispose che non nè occorre nuovo calesse, che già tutti i calessi scuotono ugualmente e che poco importa se scuotono o meno. Làscio giudicare quale impressione abbia prodotto nel mio interno tale diabolico linguaggio dalla bocca d’ un padre, contro la sua malata figlia. 11 mio cuore mi disse - Satana si leva la maschera. Ciò nulla di meno frenai la traboccante lingua. Nell’ indomani appena alzatomi per ritor nare a Canale mi chiamò a sè nel tinello e tutto inviperito in presenza della suocera -qua mi disse - avete altri Fior: 100.— dove io debbo dare tutti mi pigliano pel collo -e rivoltosi a sua moglie proruppe - ed io dalla casa tua ancor nulla non ebbi - (notisi che la meschina portogli lo stabile di Salcano in dote). La poveretta si mise a singhiozzare ed io rimasi come da fulmine pietrificato. Nulla potei dirgli, nulla rispondergli per non provocare dei clamorosi diverbi ma presi il mio cappello e colla taccia d’assassino scagliatone in fronte mi portai a Canale, dolendomi gravemente con la moglie del brutale trattamento avuto. * Dopo questa catastrofe quando aperta vidi la vendetta d’uno snaturato padre, gli feci mediante la suocera chiedere l'estradazione dell’obbligo per iscritto ai riguardi dell’annua corrisponsione di Fior. 1000.— a titolo di mantenimento per sua figlia. La domenica delle Palme mi tirò fuori uno scritto di proprio pugno, il cui tenore così suonava. - Avendo mia figlia sposato lei Dott. G. io Le assegno una annua pensione di Fior. 1000.— pagabile in mensili rate di Fior. 100.— a titolo della sua porzione paterna e materna e senza poter mai prendere una qualche assicurazione ed ipoteca sopra le mie realità ecc. Appena inteso ciò io non lo lasciai nemmeno terminare, avendovi rilevato l’infame tentativo di gabbare perfino la propria figlia col dire di corrisponderle Fior. 1000. non già quali un equivalente degli interessi della dote che in seguito le verrebbe assegnata, sibbene a conto della sua porzione paterna e materna in guisa che, ella dopo venti anni nulla avrebbe più da pretendere. E questo scritto ormai fatto firmare dal Fabriotti come testimonio doveva firmare anche la suocera per la sua figlia. Puossi dare più abominevole atto di padre contro la propria figlia ? ! Ma tiriamo avanti. Io feci conoscere alla suocera l’attentato a cui tale scritto mirava, le dissi essere superfluo il firmarlo poiché da noi inaccettabile. * Vennero le feste pasquali. Ancora prima della colazione faceva i miei lagni, come anche essa suocera e madre fosse così priva di sentimento per la sua figlia, come così poco si fosse curata per il di lei corredo il quale appena bastasse per una semplice borghese. Ma l’impassibile vecchia rispose d’aver fatto tutto ciò che stava nelle loro forze, e facendole io durante la colazione delle più forte rimostranze, tutt' ad un tratto alzò la voce dicendomi in viso -non avrei mai creduto che ella fosse tanto perfido. La parola perfido della suocera rivocommi in mente quella d’assassino del suocero in guisa sì straziante che indispettito gettai sul tavolo un crostino di focaccia cui sbric-ciolava nel caffè. 200