Valga a dimostrazione la seguente protesta: « Una sera della scorsa settimana il sig. Carlo Knipfer, negoziante orefice di questa città, ricevette per la quarta volta in meno di un mese, l’invito al servizio di guardia. Tale intimazione parendogli ingiusta, egli vi si rifiutò, ricusando anche di retribuire la quota pel supplemento come aveva praticato nei tre precedenti inviti. Scorsa l’ora dell’appello, il Caporale sig. Pividore, vedendo la mancanza del sig. Knipfer, divisò di obbligarlo colla forza a recarsi al corpo di guardia. Consultato il nobile Conte Commandante sulla convenienza di tale misura, questi gli rispose precisamente : « Fate quel che volete, ma in questa faccenda io non voglio esserci per niente ». Al che il risolutissimo Caporal Pividore, fatto il suo Salamelek alla militare, ritorna al posto di guardia, prende sei uomini, armati sino ai denti, e via diretto alla casa dell’insubordinato gregario guardia nazionale. Erano circa le 10 ore di sera guando s’ode un forte picchiare all’uscio del sig. Carlo Knipfer. Corre la serva mezzo spaventata a chiedere chi picchiasse in quella guisa, e che si volesse in quell’ora. «Apri subito», le fu risposto bruscamente. Rinnovando ansiosamente le prime domande, la povera serva non sapeva che fare. Gli uomini intimavano si aprisse senza altro indugio, altrimenti si sfonderebbe la porta. A tale urbana cordialissima costituzionale intimazione la porta viene aperta. L’intrepido zelantissimo Caporale dispone i suoi sei uomini da vero sgherro in diversi punti in modo da impedire l’evasione del colpevole ! ! ! che aveste creduto reo di alto tradimento, tanto era l’accanimento spiegato contro di lui. La moglie del povero refrattario ! si presenta tutta sgomentata al furibondo Caporale, chiedendogli la ragione di quelle ostili disposizioni. In tuono rodomontesco gli risponde il duce dell’eroica spedizione: che il suo marito si disponga a seguirci al corpo di guardia, altrimenti in tocchi o vivo o morto vi verrà trasportato. A siffatte minacce, la povera donna colta da subito spavento, cadde svenuta. Pieno di giusto risentimento si fece avanti il sig. Knipfer, fortemente dolendosi dell’ arbitrio usato e dell’ illegale procedere, e protestando contro la violazione del domicilio ecc. ecc. Il Caporale non vuol udire lagnanze, non giustificazioni, ma insiste nel voler condur via in mezzo ai suoi armati il suo preteso inquisito. Questi, forte del suo diritto, sfida le stolte minaccie e la prepotenza del ridicolo Don Chisciotte, pascià dalle tre code, e colla sua fermezza e coraggio seppe si bene imporre alla gamberesca comitiva che dando indietro se ne ritornò quatto quatto al quartiere colle pive nel sacco ». * Nel 1851, tre anni dopo la sua nascita, la Guardia nazionale cessava la sua grama esistenza. Il suo stato patrimoniale, oltre il civanzo di cassa e la suppellettile dell’ ufficio del comandante, consisteva in un panno bleu, per le divise delle guardie ; di uniformi di panno bleu, braghe di panno misto, cappelli alla Corsè e pennacchi per i trentasette bandisti, due trombette e un pacco di spartiture di musica per i bandisti, undici giaccò, tre tabarri, due berretti, quattro paia di spallini rossi, quattro cordoni rossi, due sciarpe di seta tessuta, di colore bianco e rosso per l’ufficialità. Il danaro liquido venne devoluto per il nascente Istituto infantile, gli effetti in natura vennero donati, con legato del nove dicembre 1851, alla Banda civica. Così si spegneva quel corpo che, sorto al suono della diana di libertà, doveva essere palladio dei diritti civici, ma che i goriziani ben presto si accorsero eh’esso non serviva ad altro che per far sfoggiare ai comandanti le divise gallonate e per far passare ai gregari qualche allegra serata, battendo a briscola e vuotando i calici di vino nostrano, negli improvvisati corpi di guardia. * Il Carnevale se ne andava per lo più già in febbraio, nel mese che giusta il detto popolare, era il peggiore di tutti gli altri : FeVrarùt pies di dut. 41