Di sera la famiglia si raccoglieva nel tinello per tenere buona compagnia all’ ospite, che dalle Basse friulane veniva per i suoi affari a Gorizia. Scoccate le ventidue ai Gesuiti, Donna Luisa, 1’ amorosa consorte di Filippo Lazzar, che nella seconda metà dell’Ottocento teneva il prenominato negozio di chincaglie in Via del Rastello, cominciava a sparecchiare la mensa con l’aiuto dell’ Antonia (Tinsa), la fantesca giunta di recente dall’Altipiano. Allegra serata cotesta in casa Lazzar. Da Aquileia era venuto a Gorizia il babbo della padrona di casa, lo speziale-poeta Vincenzo Zandonati, che, come al solito, faceva precedere la sua venuta con 1’ arrivo di un paio di grasse anatre salvatiche (mazurìns), cacciate vicino il canale dell’Anfora (la roja), per mangiarle col risotto, oppure di un canestro di belle sfoglie delle lagune di Grado, per friggerle in padella. Dopo il convito, in cui avevano avuto sperticati elogi alcune bottiglie di vecchio vino secco della valle del Vipacco (butìlis cu li telis di ràin), un pò di musica dell’organino, quindi i quadri più recenti proiettati dalla lanterna magica, infine il gioco della tombola. Al capotavola il cartellone e il sacco, coi dischetti numerati di legno. Agli altri le cartelle a scacchi bianco-verdi. L’ambiente si anima tra i frizzi dei numerosi giocatori. « Settantasette ! », e l’allegra compagnia di rimando: «Le gambe delle donnette!» «Quarantaquattro!» « Le careghéte ! » (sedie)! «Novanta!» «Il nonno!» «Uno!» «Ilmùcul!» (moccolo) e via, via di questo passo per ogni numero estratto. Al nostro poeta nulla sfugge. Mentre ancor gioca, lascia vibrare le corde della sua volubile cetra, per tramandare ai posteri il seguente componimento poetico, improvvisato in una sera del 1860. Gioco alla tombola E chi può starsene Chi tenta vincere Ma il mio pensiere Cheto silente Zitto tranquillo Parte e sollevasi In questo amabile Per soste ntacolo Ad altre sfere. Crocchio ridente? Del suo pupillo. All’ incantevole V’ è quel che schicchera Evvi chi risica Aspetto vivo La barzelletta Maggior importo Di tanti giovani Per far sorridere Sol della gloria Io mi ravvivo La sua diletta. Per lo sconforto ; E parmi riedere E allor preludia V’è quel che cumula All’ età fresca Propizia sorte Tutto il danaro Che col suo balsamo Se a lui dirigersi Per fare cenere Ancora invesca. Sue luci à scorte. Del suo cigaro ; Non bado ai numeri V’ è chi si dondola V’è chi la vincita Delle cartelle Per magnetismo A’ destinata Ma ai volti amabili Qual per prurigine Il cerchio crescere Di tante belle. Di senapismo. Della sua amata. Qui tutti aspirano E questo è l’unico Ad un guadagno, Grato sollazzo Senza conoscere Tanto pel vecchio Disgusto e lagno. Che pel ragazzo. * La domenica nel pomeriggio i goriziani andavano a Valdirose, dov’ era un ristorante denominato Tivoli che in origine era stato il villino di campagna del Baronio, poi passato in eredità alla contessa Elena Lantieri. In quel locale venivano servite delle ottime costolette di maiale affumicato con l’immancabili cappucci acidi e dell’eccellente birra di Budweis. Attigua v era la sala da ballo, nella quale si trovava un pianoforte Bosendorfer a coda. Talvolta uno degli avventori si metteva a strimpellare e allora la gioventù si metteva a ballare i valzer e le polche, mentre i vecchi, facendo da tappezzeria seduti intorno alla sala, riandavano col pensiero ai bei tempi lontani ... Chi per pigrizia non raggiungeva Valdirose, si fermava nell’Osteria Alla Casa rossa, così chiamata ultimamente dal colore della sua facciata. Codesta osteria dal Quarantotto 240