guarnitura», di «tarzanella turchina», di «manto ganzante», di «mezza setta», di «Siviglia giallo», di «lana turchinetto», di «tela ricamato» con cottola. Più in uso, per le meno abbienti, era il vestito di «bavella» - filo che si levava dai bozzoli messi nella caldaia prima di cavarne la seta - di colore verde o rosso, il grembiule in tale caso era di seta viola di colore cangiante. Un abito contadinesco in uso sino la metà dell’Ottocento era 1’ «abit crèmes», di colore bleu - viola scuro, con fiorellini o cuori in rosso, celeste e bianco. Sopra la crinolina (sèrcli) - cerchio sotto la sottana - le goriziane mettevano un vestito consistente in due parti, gonna e vita, di stoffa barès, trasparente e leggera come il velo. V’ erano vestiti di Barès nozèla (color noce), barès a ròzis, infiorati. La gonna per la crinolina veniva confezionata con otto teli (tei). Il grembiule (gurmàl) era comunemente dello stesso colore dell’ abito, in caso diverso era di seta nera ; veniva fissato ai fianchi mediante dei nastri di Orleans, che s’incrociavano a fiocco sui fianchi. Nel documento del 1766 sono ricordati grembiuli (travèrse) di «indiana», di «lino» turchini, forse per casa, e neri di zendado (Cenciai), specie di velo. La ruta era un ampio bianco velo nuziale ricamato dalle monache del Convento delle Orsoline, che le spose portavano sul capo. Le ragazze e le maritate lo portavano ai fianchi, dove era attaccato il nastro al grembiule. Oppure sulle spalle. Tra gl’indumenti della de Morelli sono ricordati due «facioletti, uno di setta, ed uno di Vello tutti due guarniti con merlo di setta», quattro «facioletti di musolina racamati» e altri semplici di «musolina»; in quelli della Darneuscig «faccioletti racamati» e uno di «Sessa vellata». La cuffia (schfa) veniva usata ancora al principio dell’Ottocento. La de Morelli ne possedeva tre con «merlo di filo» e quindici con «merlo di seta». Le donne usavano portarle anche quando andavano in giro per la città. Una del principio del diciannovesimo secolo, conservata nel Museo della Redenzione, è alle parti di raso nero e velluto bruno, con ricami di fiori colorati in rosso e verde, filo tortigliato d’oro e perline bianche e verdi. I guanti (manèsis) costituivano un lusso anche per le signore, la de Morelli non ne possedeva che un paio di velluto. Le calze (ciàlsis), comuni erano di cotone bianco, «calzette di Caneva», quelle di lusso di filo di seta. A Gorizia v’ erano dei fabbricanti di calze già nel Settecento. A titolo di curiosità riportiamo, l’attestato di servizio d’ un calzettaio goriziano, tale Antonio Pussig, nato il 18 luglio 1788 in Piazzutta, entrato tredicenne al servizio del fabbricante Giovanni Seitz. « Gorizia li 8 Marzo 1819. Attesto io sotoscritto che Antonio Pussig sia statto in casa mia per il corso d’ anni dieciotto dico anni 18. in qualità di Gargione indi Lavorante alla Proffessione di travagliare le Calze di seta,e che in tutto questo intervallo di tempo siassi sempre ben rip-portatto, non solamente con tutta fedeltà e obbedienza, ma ecciandio usatta una perfetta Morale e Condota . _ . _. _ Liiovanni oeitz L-ittadino r attentato ». I moccichini o fazzoletti (fasolès) di naso, erano di tela d’ Olanda, oppure di cotone, bianchi ; colorati invece per chi fiutava tabacco. Le scarpe (scàrpis aviàrtis) erano di pelle di vitello, eleganti, con fibbia d’argento o d’altro metallo (scàrpis cu la fiuba), oppure anche senza di questa. Le popolane costumavano andare a nozze anche in babbucce (papbssis), che avevano il tomaio della stessa stoffa del vestito di sposa. Le scarpe di ballo (scarpìns) erano di «brunel». L’ACCONCIATURA DEL CAPO. - Le goriziane avevano molta cura dei capelli, e n’ avevano ben donde, poiché erano di una singolare bellezza tanto per il colorito, che per la lucentezza e la lunghezza. Non erano rare le chiome, che arrivavano sino ai talloni. 70