gangheri. Erano foderate di tela casalinga; sostituivano le mutande che in allora erano ancora sconosciute. In tempi più recenti i cittadini portavano nei giorni festivi brache turchine (barghessis turchìnis). Le calze lavorate ai ferri (ciàlsis guciàdis) erano di lana bianca per l'inverno e di cotone bianco per l’estate. Giungevano sino sotto al ginocchio, al quale erano allacciate con i legaccioli (l'eamps). V’erano poi le calze a chiocciola (ciàlsis a càis), dette così perchè avevano delle protuberanze chiocciformi ; rigate traversalmente in azzurro o in rosso (a riis coloradis par traviars); marmorizzate (a marmulin); a scacchi (a scacs); con i nodi (cui brombui) e a nodelli (cui gropus). Le scarpe con la fibbia metallica, erano di pelle di vitello ed avevano una linguetta, che talvolta usciva dal tomaio. Invece della fibbia v’era talvolta un nastro nero che veniva intrecciato «a stela» in forma di fiocco. Gli stivaloni (tròmbis) avevano un risvolto, che arrivava sino alla metà del polpaccio. La parte inferiore era di pelle nera, quella superiore, cioè dalla metà del polpaccio in su, aveva il colore naturale della pelle. Il cappotto (sacheton o capòt), portato per lo più dai montanari che venivano in città, era a sacco senza bavero, con un taglio in mezzo alla schiena. Era fatto di pelli di pecora con la parte pelosa interna e la esterna orlata dello stesso pelo. L’ombrello (lombrèna) era ampio di seta rossa, col bordo verde cangiante nel cui mezzo v’era un filetto giallo. Il bastoncino era di ottone, mentre l’impugnatura, a forma di mano, era d’avorio. * Nell’aprile 1915 il dott. Achille Venier, prima di accorrere ad arruolarsi volontario nelle file del Regio Esercito, affidava a nostro fratello Giovanni, perchè li mettesse in salvo, alcuni preziosi documenti per la storia dell’ irredentismo goriziano. Ecco la copia fedele della lettera che rispecchia i sentimenti dei nostri antenati : « A Benedetto Cairoti Onorevole Signore. ^ Goriziani. Dopo i disastri di Custozza e Lissa, dovea in noi esser spenta ogni speranza di vederci uniti alle famiglie Italiane. Pure incrollabile fu la nostra fede. L’ Italia non poteva dirsi ancora compiuta. Manca Roma per far cessare il Governo dei Papi - per sottrarre l’Italia alla tutela dei Francesi per distruggere per sempre il focolare della Reazione. Manca il Trentino e la Gorizia per dare all’ Italia i suoi baluardi naturali del Brennero e delle Alpi Giulie, manca l’Istria con Trieste per assicurare all'Italia il dominio dell’Adriatico. Mancano all’ Italia due milioni di abitanti che vogliono essere uniti alla loro patria, non per interesse proprio, non per il loro bene, ma pel vantaggio, per la sicurezza d’Italia tutta. A questi Italiani apparteniamo ancor noi abitanti della Gorizia per ragioni di razza, e di posizione geografica -. giustamente superbi d’aver conservato incolume il sentimento della nostra nazionalità attraverso condizioni peggiori assai d’ogni altro paese d’Italia, con sette secoli di dominazione tedesca, con preti, nobili, militari tedeschi, con scuole tedesche. Ma se la nostra fede sta salda, e starà, ad onta di tutte le infamie del Governo di Vienna, che se liberale pei Tedeschi, per gl’ Italiani dell’Austria sarà sempre un Governo eminentemente nemico, questa fede ha pur d’uopo che i fratelli, ormai liberi, talvolta la rinfranchino con una parola di conforto. Dopo due anni di lungo silenzio questa parola di speranza e di coraggio ci venne da Voi, quando con altri onorevoli vostri colleghi, nella seduta del Parlamento dd. a 3 corrente, proponeste doversi riguardare per cittadini del regno d’Italia tutti gl’ Italiani ancor soggetti a dominio straniero. 75