Ben ha ragion colui d’amor s’ affida A cui senno, e Virtù servon di guida. Quando Amor regna, e signoreggia in alma Vuol sovr* ogni altro affetto aver la palma. Non è mai pago Amore e in forma scaltra Sempre cerca e desia qualche cos’ altra. Un rispettoso Amor vive di fede, Brama assai, poco spera, e nulla chiede. D’ or sol no è, che 1* Idol mio tu sei, Han più antica cagion gli affetti miei. Un amorin negli occhi tuoi risiede, Che sta ferendo il cor di chi si vede. Amor, che sta sull’ allegria, e sul gioco, S’ arma anch’ egli, fa piaghe e accende il foco. Se tu sai come sia 1* amor permesso, La licenza d’amar chiedi a te stesso. Amor crudele Arcier ferisce, e impiaga Ma medico pietoso unge la piaga. Perchè 1* un l’altro vi feriste il core L’un coll’ altro guarir vi vuole Amore. Lo stesso affanno, e il stesso mal eh’ io sento Ha un’ aria di piacere e di contento. Col voler, col sforzar tutto s’ ottiene, Ma solo dalla forza Amor non viene. Il piacere, il contento, ed il diletto Voleran tutti intorno al vostro letto. Amore è un Ben che non ha Bene eguale, E peggior dell’ Amor non v’ è alcun male. Chi ha trovato il mio cor, non l’imprigioni, Ma per pietade il renda, il suo mi doni. Un Reai Fiume è Amor, che abbatte, e spezza Ogni origin di vigore, e di fierezza. Il tacere, il parlare, i moti, i sguardi Tutto rende palese il foco, ond’ ardi. Bella il tuo male è un male, ed è un martire Che fa nascer la gente, e non morire. Fra i paesi, che ha 1* occhio a se davante, Sempre quello è, il più bel, dov’ è 1* amante. Pazzo è colui, che Amor senz’ occhi crede, Chi meglio dell’Amante osserva e vede ? Spesso è Amor più costante in fra i rigori, Che non è fra le grazie, e fra i favori. Per guarir dallo strai, che mi ferì Dal mio ben non dimando altro che un sì. Ferdinando per Chiara arde penando E Chiara vive, e muor per Ferdinando. Pria che amor forze acquisti, allor che nasce Correte Amanti, a soffocarlo in fasce. Gorizia, al pari delle più importanti città venete, possedeva, già nel decimottavo secolo, un Casino dei Nobili, che aveva lo scopo di divertire i cittadini di sangue purissimo celeste con la danza e con il gioco. Dai primi articoli delle sue leggi, uscite a Gorizia dai torchi di Valerio de Valerj e figli nel 1795, apprendiamo che codesta società aveva la sede nel Palazzo Santa Croce nella piazza omonima, già dei conti Attimis-Santa Croce, ora del Comune. I soli nobili, che contavano almeno venticinque anni di patriziato, potevano essere soci dopo essersi obbligati di pagare un canone annuo di venti fiorini. La rigidezza, per l’ammissione al Casino, non veniva temperata neanche per le signore. L’articolo nono dello statuto prescriveva infatti che « le mogli nate da famiglie non nobili, benché accasate con persone nobili e capaci, non saranno ammesse alle conversazioni, o a qualunque altro trattenimento del casino, e così pure benché nate dame, capaci di casino, se si maritino con persone incapaci di casino, per legge fondamentale restano escluse ». Tre presidenti e due censori sovrastavano a codesta società di divertimenti dell’aristocrazia goriziana al tramonto del diciottesimo secolo. Compito dei censori era di custodire la cassa sociale, di provvedere le candele di cera per l’illuminazione e di procurare le carte per il gioco del faraone, della bassetta e del lanzichenecco. Un componimento poetico, con riferimento a codesta società, sgorgato dalla penna d'un anonimo pedestre sacerdote goriziano delle Muse, merita di venire riprodotto. Eccolo : 19 2*