rientrante nella bottiglia 5 cm. Il diametro del-1’ apertura della bottiglia non ha che 4 o 5 mm„ quella della base 6,5 cm., quello della parte superiore 7,5 cm. Possono contenere circa mezzo litro di liquido, cioè una bozza. Le lastre di vetro da loro confezionate venivano dipinte con immagini sacre e vendute dai merciaioli, dai cosiddetti goccèveri, anche in altre provincie. Infatti se ne trovano àncora oggidì, oltre che nel Goriziano, anche nell’ Istria e nella Dalmazia. Nei cumuli di materiale troviamo una grande quantità di vetraglie oggi in disuso, così a mo’ d’ esempio i rulli, dischi di vetro colorato per le finestre delle chiese e dei palazzi e le figurine di vetro che servivano da galanterie e da giocattoli. Un cavallino di vetro, da noi scavato a Val Moisca, ricorda quello conservato nella Raccolta Florio a Palermo. Venivano costruiti orologi a sabbia (clessidre), che venivano venduti ai naviganti, fiale, ampolle, ritorte, vasi e barattoli per uso farmaceutico; vetraglie per uso domestico, coppe, brocche, vassoi, bicchieri di forme varie ; bottiglie con decorazioni dipinte a mano, ampolle e vasi con anse, vasi di vetro ondato, filigranato bianco, opaco e colorato. Tentarono pure la fabbricazione delle lastre comuni per finestre, del cristallo e degli specchi. Dai risultati degli scavi si trae la convinzione che nelle nostre vetrerie venivano fabbricate tutte le specie di vetrami. I prodotti erano ottimi sotto ogni riguardo, alla leggerezza della sostanza univano la leggiadria e la grazia delle forme. * Vediamo quali erano i prodotti laterali di quest’arte. Durante l’inverno veniva prodotta la calce, di cui i vetrai ne facevano grande consumo. Molte volte adoperavano il forno per la cottura dei mattoni refrattari necessari per la costruzione dei fornelli e dei crogioli. Non è escluso che fabbricassero anche vasi da fiori, pentole ed anfore di terracotta, che venivano rivestite di una vernice vetrina; ne farebbe fede la grande quantità di coci che si rinvengono nei pressi delle vetrerie. Come abbiamo accennato, gli abitanti di quei luoghi impararono da loro l’arte di fendere il faggio a tavolette. La conoscenza di quest’ arte fu di grande beneficio per loro, perchè poterono avere così una fonte di luce artificiale quasi gratuitamente e che sostituiva molto bene quella ad olio o a candele. Un buon legno da torce si ricavava dal cuore dei ceppi del pino austriaco. Altro ottimo lo si otteneva facendo delle incisioni nei tronchi dell’abete (Pinus silvestris), dalle quali colava la resina sulle radici e sui rami dell’albero e l’anno seguente si tagliavano i rami o le radici, a cui si dava la forma prismatica, talvolta della lunghezza d’un metro, per potersene servire. A Tri-bussa si facevano torce più corte che venivano scambiate a Sambasso, a Vìtuglia, a Cer-nizza ed in altri paesi, vicino con del grano o della farina. Le torce che si facevano a Loqua erano grosse quanto un pugno; per metterle in vendita le assottigliavano tagliandole a striscie. Bottiglia e bicchiere, di Vaifredda 91