Carri di tutte le grandezze, tirati da cavalli o da buoi e carretti (ciarus) condotti a mano, erano stracarichi di masserizie, d’ogni forma e d’ogni qualità. Ciò che più spiccava su quei veicoli, subito dopo l’alare (ciavedàl), la catena per il paiolo (ciadena dal fogolàr) e la cassapanca della nonna, era la batteria di cucina, buttata alla rinfusa sopra il mobilio, l’ultimo momento prima d’abbandonare la vecchia dimora. L’ occhio del passante si posava distrattamente su quegli utensili. Erano pentole, padelle, coperchi (cavartòris), tegami (lantiàns), graticole (gardèlis), secchie di rame per l’acqua (seglòs di ram), secchie di legno (pòdins), paioli (cianderìs) per la polenta, il calderotto (cianderìn) per il caffè. La sciatta e malinconica sfilata annuale delle masserizie per il trasloco di casa si rinnovava più frequente per il ceto medio, che per quello popolare. Al numero quattordici della Via Vogel abitava un certo Giacomo Zigon (Jàcun da li seadùris), che dopo una dimora di oltre quarantanni in quella casa aveva avuto lo sfratto (scòrni) per le sbornie che pigliava. Il Jàcun, da vero filosofo, non si era preso la briga di andar a cercare altrove un alloggio per sè e per la sua vecchia madre. N’era avvenuto per conseguenza che le sue robe, tra cui una vera montagna di caldaie di rame, mai state usate, che costituivano tutto il suo avere, erano rimaste per più di otto giorni sul pubblico lastrico. Tra il popolo goriziano vigeva l’uso di tesoreggiare, acquistando utensili di rame. * Nel mese di novembre cominciava l'insegnamento della danza, impartito nella seconda metà dell’Ottocento dal maestro Hofmann di Trieste e successivamente da Francesco Marega, anche alle educande del Collegio di Notre Dame e a quelle del Convento delle Orsoline. Il primo era tanto desiderato ai suoi tempi che, tardando nel 1873 di venire a Gorizia, aveva ricevuto questa stoccata da un periodico umoristico : «Un morto risorto! Annunziamo senza preamboli che il distinto maestro di ballo Sig. Hofmann sia risorto. Ma come risorto ? chiederanno probabilmente quei lettori che per anco non hanno ricevuto alcun avviso della sua morte e della sua sepoltura. Vogliamo spiegar loro anche questa faccenda. L’altro giorno - nel mese d’ottobre - gli spedimmo a Trieste il seguente telegramma : « Rispondeteci tosto se siete morto ». Ricevemmo la risposta che segue : « Cari amici. Mangio e dormo, dunque vivo : rido e ballo, dunque non son neppur ammalato. Però ringrazio quei tali d’aver spacciato la brutta nuova della mia sepoltura. Intanto da parte mia, se pur non muoio davvero, questa primavera continuerò le mie lezioni a Gorizia. A rivederci!» Una giornata famosa, per il commercio goriziano, era quella di Santa Caterina, il giorno venticinque, in cui gl’ industriali milanesi e di altre città d’ Italia venivano ad acquistare la seta filata a Gorizia, pagandola per cassa pronta. Dopo aver concluso gli affari i nostri vecchi facevano una scampagnata all’Aisso-vizza da dove, dopo aver bene mangiato, bevuto e cantato allegramente, se ne ritornavano a tarda ora in città. * Alare di ferro battuto 217