V’erano poi le torce di faggio (Fagus silvatica), che venivano preferite dagli abitanti di Loqua e di Tribussa. Il legno veniva piallato per ottenere delle fettucce della grossezza di due dita e della lunghezza di un’ ottantina di centimetri. Per farle ardere venivano fissate sotto la cappa del camino o su di un doppiere di legno chiamato « servitore », che si metteva su d’un angolo della stufa. Erano sormontate da una cappa, perchè bruciando sprigionavano molto fumo, inoltre doveva starci sempre qualcuno a guardia di loro, perchè non si spegnessero. La torcia lignea veniva detta in goriziano tia, probabilmente per derivazione diretta dal latino taeda. Anche la foggia dei vestiti era caratteristica in quei paesi. Gli uomini portavano un cappello nero col cocuzzolo Bottiglie di vini tipici, di Vaifredda a calotta, dalle tese larghe spioventi sulle spalle, che nei giorni piovosi poteva servire anche da ombrello. La camicia era di tela tessuta in casa, sopra questa portavano una camiciola di mezzalana bianca. Le brache nere, con la toppa che si abbottonava alle serre, avevano lateralmente sopra il ginocchio tre bottoni. Le calze erano bianche e le scarpe ornate da fibbie metalliche. Le donne indossavano un corpetto di lana scarlatta, increspato e aperto sul davanti, la gonna corta era di mezzalana nera e sopra questa avevano un grembiule di seta cangiante. Calzavano scarpe molto aperte e sulle fibbie v’ era annodata una rosetta di nastro dello stesso colore del grembiule. Quale fosse l’importanza a quei tempi per una provincia d’avere entro i suoi confini un tale opificio è facile immaginare. Il Goriziano deve a quest’ arte l’ingrandimento e Io sviluppo di ben tre dei suoi villaggi. Sappiamo che i primi vetrai provenivano da Amburgo. Tuttavia già in quel tempo troviamo indubbie testimonianze della compartecipazione all’arte vetraria di gente nostrana. Nel pavimento della chiesa di Chiapovano vi è incastrata una lastra tombale sulla quale vi è scolpita l’arma della famiglia Cofou e la seguente iscrizione : « Mattia Cofou - fece fare per se et - suoi eredi - 1724». I Cofou, come risulta dalle matricole parrocchiali di Chiapovano, di Tribussa e di Loqua, vengono sovente menzionati assieme ai vetrai ; uno di questi era maire (sindaco) di Chiapovano durante il governo italo-francese. Oltre ai proprietari goriziani Mattia e Andrea Vogel (quest’ultimo deceduto nel 1783), troviamo nominati i vetrai Giovanni Damani e tale Vaunazza (forse Bonazza), ì quali con tutta probabilità erano di origine friulana oppure veneta. Trovammo a suo tempo nell’archivio parrocchiale di Loqua un Chatalogus Status animarum del trenta aprile 1 796, dal quale rilevammo il nome di tutti coloro che lavoravano in quei tempi nella Fabbrica vecchia di Val Moisca. Erano circa una ventina le persone occupate in quella vetreria. Ci mancano i nomi di tutti coloro che abitavano a Loqua e a Lasna. Le spese per la gestione della fabbrica, sebbene le materie prime si trovassero nelle vicinanze, dovevano essere certamente molto forti, venivano però bene compensate perchè l’arte del vetro lasciava un buon margine di guadagno. Quando il proprietario teneva la sua fabbrica a Tri-bussa risparmiava certe spese che si resero necessarie col di lei trasporto in altri posti. Dalle notizie attinte a Tribussa, a Loqua ed a Lasna ci fu possibile conoscere anche i prezzi d’allora della mano d’opera. ,, i 11 1 A jf JrL1 ì m 1 |j i i s :iV ' ■ Doppiere per fiaccole lignee Da un acquerello di Giov. Cossàr 92