La prima domenica dopo le Tempore d'autunno i goriziani andavano in pellegrinaggio a Monte Grado. Merna veniva raggiunta a piedi o in carrozza. Sul ponte del Vipacco v’era un tale che, verso la posta di un soldino, proponeva una vincita a colui, che per venti volte di seguito era capace di ripetere nel minor tempo possibile e senza commettere degli errori, il seguente scioglilingua : Sul ponte di Merna, Che non la si perda, Che non la si perda, Sul ponte di Merna. Erano rarissimi i vincitori, che i più scambiavano le consonanti dell’ ultimo nome già dopo la terza volta. Iniziata l’ascesa del monte, i devoti si soffermavano per pregare davanti ad ogni cappelletta, indi continuavano la salita a ginocchi per la Scala Santa sino in chiesa, dove assistevano alla sacra funzione del pomeriggio. Per ricordo del pellegrinaggio veniva raccolto il timo serpillo (pardon di Merin), che veniva portato a casa. Dal piazzaletto davanti la chiesa l’occhio poteva spaziare in lontananza, ma s’indugiava involontariamente a rimirare i minuscoli villaggi circonvicini, noti in altri tempi per la loro squallida miseria. Gli abitanti di Ruppa, di Gabria, di Opacchiasella esercitavano il mestiere poco rimunerativo di raccon<;iapentole (leasìtis). Costoro, quale compenso del loro lavoro, non accettavano danaro, ma volevano in cambio prodotti della natura, quali il frumento, l’orzo, la segala, il sorgoturco ed i fagioli. Avutili li riponevano in una bisaccia, che di solito era buttata sulla spalla sinistra. Quando un racconciapentole si decideva di pigliare moglie costringeva la propria fidanzata di andar cercare l’elemosina e di vivere di questa per oltre un mese standosene fuori di casa. Lo sposo pretendeva questa umiliazione per convincersi che la sua futura consorte non si sarebbe fatta scrupolo di è andare a mendicare dopo vecchia. La misera sorte risparmiava pochi di quegli abitanti, causa il mestiere povero che esercitavano. A Merna in quella domenica v’era la Sagra di ballo. La gente affluiva numerosa in quelle osterie per bere il biondo Ribolla (Rabuèla). Le malelingue sussurravano che quello di una certa osteria conteneva del sale per assetare di più coloro che lo bevevano. * Meriterà ricordare, giacché siamo in tema vinicolo, alcune varietà di uve dalle quali si ottenevano i tipici vini goriziani, tanto ricercati e graditi anche fuori dei confini delle nostre terre. La Gargania era l’uva che serviva per produrre il vino dolce noto col nome di Ribolla. Veniva coltivata per lo più nei vigneti a terrazze del Collio. Il Cividino era di quattro varietà, ad acino grosso e fino, a grano minuto e fino, ad acino raro e quello di ronco. Quest’ uva giungeva tardi a maturazione, dava però un vino eccellente. L’uva Rosenplatz, coltivata dapprima soltanto nella tenuta dei conti Dornberg a Montespino, andava riguardata tra le uve più zuccherine del Goriziano. Dava il nettare dal colore di topazio, conosciuto col nome di vino della valle del Vipacco. L’uva Piccolit, considerata la più preziosa della nostra provincia, doveva il nome alla piccolezza dei suoi acini. Era un’ uva tipicamente friulana dalla quale si ricavava lo squisito Piccolito, liquore che si faceva mediante l’appassimento delle uve che doveva precedere la loro spressione. * 174