Si, tutti 1 malanni provengono dai balli moderni, o parrocchiani carissimi, per colpa loro cade dal cielo la grandine, ci colpisce la siccità che ci ruba il raccolto, ci piglia la pellagra, ci assale la febbre che ci fa battere i denti, sopravviene la miseria, nascono le discordie tra le genti, scoppiano 1 tafferugli nelle famiglie, tutto, tutto ci capita addosso solamente per colpa del ballo. Anche la Madonna e San Giuseppe ballavano » - e il pievano pigliandosi la tonaca con le punte della dita e si era messo a ballare e fare gl’ inchini della stàjera - « ma loro ballavano con grazia, facendo zin, zin, di qua, zin, zin, di là, come vedete che faccio io. Ma voi brutte bestiacce, nei vostri balli moderni fatte zon, zon e zon, zon... ora di qua e ora di là, senza riguardi e senza bella maniera. Ma non basta ancora. Le ragazze, che vanno a ballare si ornano il seno con un grande fiore - e il pievano ne mostrava la circonferenza con le dita d’ambo le mani - e i giovanotti, brutti spudorati, glielo vogliono strappare di là per forza, con grande scandalo di coloro, che venuti per assistere al ballo vedono invece questi atti scandalosi. E poi volete che il Signore ci dia del bene ? Ciò non potrà giammai avvenire, e voi non potrete attendervi la sua grazia, se non ritornerete alla vecchia usanza, se non ritornerete a ballare la stàjara ». Benedetto quel pievano ! Che direbbe dei balli d’ oggidì ? * Il popolo goriziano costumava di frequentare le feste di ballo, che venivano tenute nella Locanda Cattarini in Piazza Cattarini, nell’ Osteria Alla Nana in Via del Ponte Isonzo e i cosiddetti balli casòn nel Salone Dreher in Via del Giardino. Ma la classica festa di ballo popolare era la sagra, che si svolgeva all’aperto, avendo per sfondo le case ed i palazzi della città e per soffitto l’ampia callotta del cielo, che la notte era trapunta di stelle brillantissime. La stagione dei balli all’aperto veniva aperta con la Sagra di Santo Spirito (Spiritu Sant), sulla spianata di Borgo Castello, la seconda e la terza festa di Pentecoste. Le campane della chiesetta, con il campanile a vela, fatta costruire tra il 1299 e il 1 358 dai due fratelli Rabatta, esuli fiorentini, riempivano mattina e sera di suoni festanti, sino dal giovedì precedente, tutta la città. I goriziani imitavano quegli scampami con le rime seguenti : Pan e vin, pan e vin, E quartassa, se varin ! (Pane e vino, pane e vino, e un quarto di agnello, se Io avremo.) Pane, vino e carne di agnello, costituivano il cibo tradizionale di quei giorni. I castellani non indugiavano di andare ad impegnare i vestiti invernali al Monte di Pietà, pur di poterseli procurare onde festeggiare, giusta la vecchia usanza, in quella ricorrenza. Sul sacrato di quella chiesuola si svolgeva al tempo dei conti di Gorizia la pittoresca cerimonia per il conferimento della carica di capitano della contea. Si può dire, senza tema d’esagerazione, che tutti i goriziani intervenivano alla sagra, quasi a render atto di omaggio, una volta all anno, alla leggendaria «terra di sopra», dalla quale aveva tratto ì natali la citta di Gorizia. Ai piedi della Riva del Castello, vicino la Pistoria Zei, situata sotto l’antico Palazzo del Comune, veniva eretto un arco trionfale di verzura intramezzata di fiori di carta, guarnita con catene (ciadèTìis) fatte di strisele di carta colorata e con palloncini (globos) Il castello di Gorizia nel 1821 - Da un disegno di Giov. Cossàr 101