Pure d’argento, di ottocento millesimi, era il portachiavi della padrona di casa e le posate veneziane, punzonate col Leone di San Marco. L’ABBIGLIAMENTO MASCHILE. - Dei copricapo ^ usati a Gorizia menzioneremo i seguenti. Il caratteri- stico cappello contadinesco (ciapèl largh) di pelo di capretto tinto in nero, ornato di un nastro (nastri) ce- iJÉàà _ ____i leste-verde scuro allacciato da una fibbia metallica, con Cappello contadinesco (l’orli\ della tesa foderat°. e> la cordella spinata, Da un acquerello di Giovanni Cossàr C'1 CO*°r?. §rl810- ....... 11 diametro del cocuzzolo era di diciotto centimetri, la larghezza della falda di tredici centimetri, pesava oltre duecentonovanta grammi. Meritano in questa occasione di essere ricordati i cappellai Nicolò Mighetti (1740-1764), i cui discendenti tennero una rinomata cappelleria in Piazza Grande sino nel 1906, e Gasparo Droc, di cui pure si hanno notizie nel 1 764. La guba, cappello a pan di zucchero, veniva portata dai contadini dei dintorni di Gorizia. Il fungo (fongo), cappello contadinesco di forma strana ricordava la tuba, ma era più basso di questa. Portava quel nome per la somiglianza con un fungo capovolto. Era di paglia intrecciata. Quello dei montanari era invece ricavato dal fungo da esca. La berretta (barèta cui suful) di lana, ricordava per la forma la cuffia da notte. Veniva portata per lo più dagli artigiani. Altri copricapo erano il cappello alla Cavour (1850); alla Pump, per i fanciulli, di pelo di vitello e lana; quello di cascami di seta. Verso la metà dell’Ottocento venne importata a Gorizia, da Giacomo Horvat, la maniera di lavorazione del cappello a scopetta, tuba (silindro), di pelo dorsale di lepre. La camicia di canapa (canepin), filata e tessuta in casa, aveva il collo (cuèl) con un bottone di filo. L’alto collo era ripiegato con lembi lunghi sporgenti sotto il mento. I polsini erano semplici e chiudibili per mezzo di un bottone di filo. Il panciotto (camizul'm), dei giorni lavorativi, era ti tela tramata con filo di canapa mtessuta di cotone, quello per i giorni festivi era di panno rosso scarlatto ed aveva i bottoni di legno colorato (batòns di len colorat). Era senza bavero. Le falde s’incrociavano a destra sul petto sovrapponendosi, e si allacciavano posteriormente con fettucce sotto i fianchi. La camiciola (camizòla), era bianca, senza bavero, di cammellotto (pelòn), con le maniche fesse ai polsi e aveva due bottoni metallici alle parti. Sul di dietro, nella parte inferiore, era fessa. Dove terminava il taglio v’ erano i cònis, pT"' " " cioè il numero dieci romano, disposto a questa guisa: IIXII, fatto a soprappunto nero. Abbiamo notizia che nel Secento si usava la camiciola anche di colore rosso. L’ accenno è nella « Relatione del Con-taggio della peste » di Don Giovanni Maria Marussig, Par jessi Ros tros si maratìeavin jo no pandei il secret, ve bizaria Cun camisola rossa Zamaria Freiatìa li Ganassis, ecc. . 5 . (Per essere rosso molti si meravigliavano, io non paleso il segreto, ma guarda bizzaria con la camiciola rossa Giam- GlOÌn'TrfrZ1Ta: maria si fregava le ganasce, ecc.) I calzoni con la brachetta, (barghèssis cui puartelòn) erano di mezzalana nera, scendevano sino al polpaccio, e, il taglio, che ivi si trovava, veniva chiuso da cordelline di nastro. Sul davanti si aprivano con lo sportello, largo da una tasca all’altra, che sul davanti si abbottonava mediante un occhiello, ed ai fianchi, con due 74