Nell’Albergo all’Angelo d'oro, come mi fermai poco tempo, al più cinque minuti, non vidi alcuno dei Consiglieri comunali nei sottoportici ma bensì una quantità di gente di ogni ceto, forse saranno stati sopra, questo io non posso dire. Non intesi in questo frattempo veruna esclamazione e la Banda, la quale secondo si vociferava per tutta la città eravi colà riunita per festeggiare cinque Antonio che frequentavano sempre queU’Albergo, suonava un pezzo di musica. Come parmi si allontanò dietro mozione di Giovanni Favetti nonché di Michele Brass la Banda, diretta dal fante municipale Francesco Corsig, dietro la quale seguì pure una quantità di gente bassa, spinta più per curiosità che altro. Dopo di ciò mi allontanai io pure, lasciando l’Ippolito, che seguì la Banda, e mi recai alla Locanda al Leon d’oro (in Contrada Nobile) per avvertire i Pividor, padre e figlio, che fino che non è terminata una serenata allo Studeniz non può venire Valentino Bressan, che fa parte della Banda, a suonare il quintetto, come eravamo intesi, alla Signora Antonia Pauletig ; poscia mi recai per la Strada Nuova ove vidi ormai schierata la Banda e molti con le fiaccole già in mano, però non ancora accese. Tutte le torcie erano ormai distribuite solo due rimasero, ed il calzolaio diede una a me e l’altra teneva egli stesso per distribuirla a chi viene, io diedi poscia subito la mia ad Antonio Mighetti (cappellaio in Piazza Grande) e poi mi ritirai del tutto affatto in parte. A chi furono distribuite le torcie, in che modo e sotto quali pretesti a me nulla consta, però potrebbe il calzolaio Giovanni Strukel dare schiarimenti in proposito. Individui da me conosciuti, i quali portavano la fiaccola, erano: Pinausig (Giuseppe), Brass (Michele), Favetti Giovanni (Nepomuceno), Luigi Verizzo e Vernig (direttore della filanda di Strazig), di più non potei rilevare e conoscere perchè, come ho detto mi allontanai vedendo che la cosa prendeva un andamento alquanto serio, motivo per il quale 10 dissi a Giovanni Favetti, che mi obbedisca, e che faccia fermare la Banda, suddichè egli mi rispose: «Bene, bene, tu hai ragione, ma la Banda però suona lo stesso». La Banda venne diretta dal Corsig e suonò la marcia goriziana ed altri pezzi inconcludenti. Terminata la marcia suddetta si sentirono le precise grida: «Evviva Carlo Favetti, Podestà del Popolo ! M ... a al mesner (sagrestano) ! M ... a al nonzolo ! M ... a ai cinquantini!». Queste grida partirono in diversi siti, tanto davanti l’abitazione del Consigliere municipale Favetti, quanto in due luoghi della braida (poderetto chiuso) di facciata, e furono ripetuti tanto durante la musica quanto fra gl’intervalli. L’espressione: « Lo vogliamo a nostro Podestà», non intesi mai a gridare. Devo pure osservare, e mi trovo in coscienza obbligato a deporre che durante tutto 11 tempo che erano riuniti presso l'abitazione del Consigliere municipale suddetto, non trapelai minimamente una dimostrazione od un contegno, nè un grido di sorte, che fossero diretti contro la persona di Suà Maestà nè contro il governo in generale, e basti questo fatto, eh’ io ora narro a dimostrare, eh’ essi non nutrivano prava intenzione di sorte. Venne un capitano degli ungheresi alquanto brillo del vino, il quale procurò col suo contegno il possibile per racozzare, con quelli che tenevano le torcie, una qualche zuffa, fino a che venne a gettarsi proprio su Giovanni Favetti, che stava con la torcia in mano poggiato al muro, presso il portone dell’ abitazione del di lui fratello. Questo capitano fu poscia allontanato da due altri ufficiali, che presolo sotto il braccio, lo condussero via. Candele romane bengaliche eranvi quattro portate dallo scrivano della vedova Sand-pichler, il di cui nome mi è ignoto, dall’ oste Mosettig (soprannominato Ransanès) in Contrada Rabatla, da Martino Zhiuk (recte Zucchi) di San Rocco (abitante in Via Parcar) e dal pittore Michele Zitter, il qual’ ultimo molto brillo del vino, andava col boccale di vino a dare da bere ai circostanti. Gli scuri dell' abitazione del Consigliere municipale Favetti erano tutti chiusi nè vi-desi nè il Consigliere, nè persona alcuna di sua famiglia. Da chi partissero queste grida mi è assolutamente impossibile di precisare. Le fiaccole bengaliche, cosiddette candele romane, erano ormai accese allorché arrivarono sopra luogo, il tutto durò circa tre quarti d’ora, dopo furono spente le torcie e consegnate nuovamente al calzolaio Giovanni Strukel. 115 8*