L'ambasciatore di Russia a Vienna 39 Ricordo che Scebeko, alla stazione, deplorò la circostanza dell’assenza di Berchtold in quei giorni fatali. «Tuttavia» Scebeko mi disse « dai colloqui che potetti avere con Berchtold, sebbene tardivi, io ebbi l’impressione che avremmo potuto risolvere la questione austro-serba, se non fosse intervenuta azione estranea. » Scebeko soggiungeva che egli aveva ricevuto da Berchtold esplicita dichiarazione che la mobilitazione austro-ungarica era solo misura di difesa e non di offesa contro la Russia; al che egli, Scebeko, aveva risposto con analoga esplicita dichiarazione per quanto riguardava la mobilitazione russa. La partenza del treno dalla stazione, tenuta interamente sgombra, avvenne senza incidenti, ben diversamente da talune partenze di Missioni diplomatiche da Berlino (i). * Al Ballplatz trovai accoglienze corrette e cortesi. Un reclamo per un incidente bellico, prodottosi sulle coste monte-negrine, e che aveva danneggiato gli interessi italiani della Compagnia di Antivari, da me presentato domenica 9 agosto al Primo capo sezione, barone Macchio, ottenne sùbito promessa di indennizzi, confermata da una Nota soddisfacente fattami pervenire lunedi 10. Conoscendo le usuali lentezze del Ministero imperiale e reale nell’aderire a nostre richieste, si può notare quale mutamento significasse cotesta inconsueta rapidità. La nota austro-ungarica era del seguente tenore: “Poiché il Montenegro, nonostante i consigli del R. Governo d’Italia, ha dichiarato la guerra alla Monarchia austro-ungarica, le necessità della guerra hanno imposto la distruzione della stazione radio-telegrafica di Antivari. Il Ministro i. e r. della Guerra, che ignorava la stazione appartenesse ad una Società privata, è spiacente che tale misura abbia cagionato danni a sudditi italiani. Pertanto il Governo i. e r. si dichiara pronto a provvedere, a guerra (1) A Berlino l’ambasciatore di Spagna e sua moglie, essendosi recati alla stazione per salutare, alla partenza, l’ambasciatore d'Inghilterra. per poco non furono linciati dalla folla nel loro ritorno all’Ambasciata. Cosi scrive nel suo Diary, sotto la data 12 agosto 1914, Lord Bertie of Thame (I,i6).