LXX PREFAZIONE zione la Memoria nella sua integrità; e così avvenne che questa, ristampata per la seconda volta, e preceduta da un'avvertenza, dalla quale abbiamo desunto le nostre notizie, tenne il posto d’ogni altra prefazione nel volume postumo che vide la luce nel 1887 *. 1 Non torna il conto di trattenerci qui a discorrere degli intendimenti con cui il Corabi attese per circa vent’anni all’opera sua, nè spetta al nostro ufficio di far eco a tutte le censure che l’edizione provocò allora e poi : fra le recensioni più autorevoli citiamo quella del Sabbadini (con una nota del No-vati) in Giorn. Stor. della Leti. Ital., voi. XIII, 1889, p. 295 e sg., e le osservazioni più recenti di P. L. Rambaldi nell'Archivio Muratoriano, fase. 1, 1904, p. 21 e sg. Riputiamo invece partito più saggio di porre l’Epistolario, come esso usci nell’edizione Combiana del 1887, a riscontro con la silloge messa insieme, un secolo prima, dal conte Papafava. Di questa si valse pur troppo largamente il Combi, al segno d’ingombrare il proprio apparato critico di pressoché tutti gli spropositi, - da lui notati quasi fossero « varianti » - in cui l’erudito padovano era incorso nella sua trascrizione del codice Brunacciano. D’altronde, avendo il Combi posto a fondamento del proprio edifizio una trascrizione nuova di quella trascrizione, non è meraviglia se, malgrado una diligente revisione, anche la sua lettura del testo Brunacciano riuscì per molti punti malsicura. A differenza del Papafava però, il Combi potè utilizzare il codice Papafava-Morelli (PM), e quindi egli possedeva una certa conoscenza indiretta del nostro codice P; egli non conobbe invece, direttamente, nè Gu nè R, del primo de’ quali si procurò una trascrizione parziale (e non sempre corretta) dall’abate Naldini, mentre, per il secondo, come s’è già detto, egli s’accontentò di citare il Papafava medesimo. Ma, quantunque il nuovo testo debba considerarsi, in complesso, un semplice rimaneggiamento di materiali preesistenti, composto, come esso fu, senza un qualsivoglia concetto direttivo, non gli si può disconoscere il pregio d’una certa maggior accuratezza, pur tenendo conto della grafia racconciata ad una forma più o meno classica, tranneché nell’epist. CXXXVIIII, che venne riprodotta « a tutto scrupolo » dalle Dissertazioni Vossiane. Similmente, riguardo all’estensione delle due raccolte, la silloge veneziana s’avvantaggia ancora con l’aggiunta di tre epistole (epist. VIII, XIIII e XXV), tratte dal cod. Guarneriano, e probabilmente trascurate dal Papafava perchè scritte non già dal Nostro, ma da corrispondenti suoi. Altrettanto però non può dirsi dell’ inclusione di due componimenti, che rimasero sconosciuti al Papafava. Di questi, l’uno è la già ricordata epistola, diretta da Francesco Zambeccari al notaio Pier Paolo Vergerio; laddove nel secondo, numerato CXXXVI dal Combi, gli studiosi hanno ravvisato un esercizio del « pseudo-Aretino » (cf. le osser-