DI PIER PAOLO VERGERIO 381 que Alexandri bella et victorie W longe maiores quam bella inprimis connumerantur W; sed quod Arrianus in eis describendis certiores (a) BPG bella, etiam victorie (b) BPG connumerarentur Vergeriana fatta, secondo l’asserto dello stesso Piccolomini, pel futuro Niccolò V, e cioè durante la legazione del Parentucelli in Germania dal 1444—6 (cf. G. VoiGT, Die IVie-derbelebung des Klassischen Alterthumsì, 1893, vol. II, p. 273-4). In calce alla prima carta V ha l’arme del futuro pontefice retta da due putti sopra una bordatura con fiori ed uccelli; l’ultima carta (162) reca la firma: «Iacobus « Çassenhem scripsit » (cf. Bibliothèque Nationale. Inventaire des Manuscrits Latins et Français ajoutés pendant 1S75-1891, Paris, 1891, vol. I, p. 26). Ora, vedendo come qui la traduzione è dedicata a Sigismondo re d’Ungheria e di Boemia, imperatore Romano, rileviamo che, qualunque possa essere il valore di quest’ ultimo titolo, considerato come indicazione di tempo, quello di « Boemie rex » spettava a Sigismondo soltanto dopo il 1419, anno in cui egli sali al trono reso vacante dalla morte del fratello Venceslao IV. Si può dunque tenere per sicuro che la traduzione è posteriore al 1419. Ma è dessa posteriore anche al 1433, data dell’incoronazione imperiale di Sigismondo a Roma? Forse non poca luce intorno a questa domanda avrebbe fornito una ricerca intesa a stabilire con precisione quando ed in qual modo Sigismondo ottenesse il testo di Ar-riano; ma su questo argomento nul-l’altro sappiamo se non che l’Aurispa, il quale fece un viaggio in Oriente nel 1413 all’incirca, aveva nel 1421 ancora presso di sè un codice di quell’autore, riportato da lui in Italia con molti altri (cf. R. Sabbadinf, Le scoperte cit., vol. I, p. 46). D’altronde, posto che si potesse sciogliere questo problema, resterebbe pur sempre incerto quello del tempo impiegato dal V. a compiere il lavoro affidatogli. Costretti quindi a lasciare quest’indagine, osserveremo che, a nostro avviso, l’oblio in cui l’opera immediatamente cadde e la « scoperta » d’essa dal Piccolomini confortano l’ipotesi che fosse portata a termine dopo il 1433; se ciò non fosse, come potremmo spiegarci il silenziodcgli umanisti — Cencio, Poggio, Loschi, ed altri amici del Nostro - in proposito, fosse pure a farne beffa, dopoché essi si erano incontrati con Sigismondo nell’occasione del viaggio dell’ imperatore a Roma per l’incoronazione, di cui Poggio scrisse al Niccoli un esauriente ragguaglio? (cf. M. Lehnerdt, Cencio und Agapito de’ Rustici in Zeitschrift fùr vergleichende Lit-teratur geschichte, Neue Folge, voi. XIV, 1900, p. 299). Assegniamo quindi la presente al periodo 1433-7, stimando che appartenga probabilmente ad un tempo molto vicino alla data più recente. Senonchè alla corte di Alfonso d’Ara-gona la traduzione vergeriana fu giudicata cosa poverissima; e Bartolomeo Facio, con l'aiuto di Nicolò da Sagun-dino e di Teodoro Gaza, subito s’accinse a far una versione dell’originale più elegante e, secondo l’opinione loro, più esatta. Questa peraltro fu a sua volta giudicata assai sfavorevolmente da Bonaventura Vulcanio, il quale, nell’edizione greca e latina dell’opera pubblicata da Enrico Stefano nel 1570, non si peritò di fregiare il Facio con gli epiteti di « asino » e di « grassa-« tore » per i cattivi servigi da lui resi ad Arriano. (Cf. Appendice II, doc. vili; e vedasi Arrianus de rebus gestis Alexandri regis: quem ìatinitate in versi come in prosa, e, più particolarmente, le storie delle gesta di Alessandro; si