LXVI PREFAZIONE locali, e bene informato altresì dei documenti d’archivio, che unicamente rischiarano quelle questioni controverse \ Il conte Papafava invece, il quale, come sappiamo per esplicita attestazione sua, era « per co-« stume incerto e fluttuante, e, per così dire, stitico ri-« guardo alla Cronologia», attendeva con maggior frutto a ricercare dappertutto i codici che per avventura conservassero qualche lettera vergeriana; non sempre, a dir vero, gli riuscì di decifrarli correttamente, sicché, alle volte, la sua trascrizione sembra piuttosto composta 1 Chi desse ascolto a B. Ziliotto (Nuove testimonianze per la vita di Pier Paolo Vergerio in Archeografo Triestino, terza serie, voi. II, 1906, p. 249 e sg.), sarebbe facilmente indotto a credere che il nostro codice G fosse esemplato dal march. Gravisi medesimo; ciò che non può essere, perchè la mano che vergò il cod. Gravisi è della seconda metà del sec. xvn, e si palesa del tutto diversa da quella del Gravisi. Dal fatto poi che le epistole vergeriane, di cui il Gravisi possedeva la trascrizione, assommavano - secondochè si leggerà nella lettera del Papafava riportata più avanti - a cinquantacinque, laddove la cifra totale di quelle conservate in G non oltrepassa quarantadue (tenendo conto anche dell’epistola scritta in nome del Petrarca a Cicerone), si potrebbe arguire che, nel corso delle sue ricerche, il Gravisi avesse avuto modo di procurarsi il testo di altre dodici o tredici epistole; e, difatti, il Babuder (loc. cit.) riferisce il brano d’una lettera (senza data) del march. Girolamo al conte Agostino Carli Rubbi, in cui vien detto: «Possiedo anch’io il frammento della de-« scrizione di Capodistria di P. P. V. il Seniore, di cui mi accenna l’estratto « fatto da monsignor Tommasini. Anche il mio però è scorrettissimo, come «tutte queste sue lettere che ho finora raccolte». Aggiungasi ancora che in una sua lettera al conte Papafava, il Gravisi accenna al testo dell’epist. XIIII, comunicatogli dal Liruti, e che non figura in G. Ma, per quel che riguarda almeno l’elenco di cinquantacinque epistole, le quali si trovavano tutte nel «codice» del Gravisi, ci par ovvio dedurre che tale cifra nascesse dall’aver il marchese notato gli inizi di tutti i componimenti vergeriani - e non soltanto delle epistole - chè vi si leggono; e così si raggiunge per l’appunto la cifra cinquantacinque, eccezione fatta per le “ Vite dei Carraresi ”, che stanno a sè. Comunque di tutto ciò, una raccolta anche di cinquantacinque epistole era ben povera cosa, a paragone della ricchezza de’ materiali posseduti dal Papafava. Intorno ai documenti comunicati a quest’ultimo dal Gravisi vedasi Appendice II, doc. n e nj.