LX PREFAZIONE dibilità dell’attribuzione al V., occorrerebbe innanzi tutto sapere da quale fonte perduta il Favonio abbia attinto la sua notizia. A noi basta rilevare qui che, se tale fonte fosse, come v’ ha motivo a ritener probabile, un elenco fondato su indicazioni e minute conservate a Capodistria, la ricerca intrapresa da Favonio nel 1509, lungi dall’invalidare le nostre conclusioni intorno al lavoro de’ raccoglitori capodistriani, varrebbe anzi a corroborarle; giacché la sua ricerca non sarebbe stata diretta propriamente a scoprire delle opere totalmente e senza eccezione sconosciute, ma mirava piuttosto a completare una raccolta già parzialmente esistente in più mani, sia con l’aggiunta dei pezzi che evidentemente facevano difetto, sia con qualche notizia intorno ad altre opere, di cui si conoscevano soltanto i titoli o la semplice attribuzione al V. di Arriano in occasione del viaggio a Roma per l’incoronazione (1435), s‘ P0' trebbe sospettare che, nella medesima circostanza, gli venissero offerti i testi di altri storiografi greci, e quindi anche di Erodiano. Comunque sia di tutto ciò, nessuno, all’infuori di Favonio, ha fatto menzione d’una traduzione vergeriana delle Historiae de imperio posi Marcimi. Rispetto poi al titolo De rebus memo-rdbilibus sui temporis et de Ecclesiae divisione, non taceremo il dubbio che trattisi, in realtà, di due titoli distinti, di cui il secondo indicherebbe le cosiddette Quaestiones de Ecclesie potestate (cf. l’epist. CXXXVIII, p. 372, nota) oppur deriva dall’attribuzione al V. d’un’opera intorno allo scisma o fors’anche, in parte, del De schismate dello Zabarella. 1 Si noterà che nell’ampio catalogo di Favonio non si rinviene alcuna menzione di tre scritti talvolta attribuiti al V., vale a dire, dell’Apologia contra Alber-linum Mussatum, delle Adnotationes in librum de geslis Carrariensibus, e dell’ « Uf-« fizio » di san Gerolamo ; e neppure (come ben s’intende) di quel « Compendio « delle Istituzioni di Quintiliano », che il Combi, facendo eco al vescovo Du Tillet, stimò opera del Nostro, che lo dimostra « impegnato più dappresso nella grande « opera di ricondurre gli studii alle fonti del classicismo » e « tanto più inte-« ressante che fu al tempo del Vergerio che quest’opera, già supplita nelle parti « mancanti dal Barzizza, potè essere emendata e resa integra mediante il codice « rinvenuto dal Poggio nella famosa torre di S. Gallo presso Costanza » (Memoria cit., p. xxi). Il « Compendio » non è opera del V. (cf. D. Bassi, L’Epitome di Quintiliano di Francesco Patrizi Senese in Rivista di Filologia e d’Istruzione classica, ann. XXII, 1894, p. 385 e sgg.; ma, rispetto all’Epistolario per lo meno, conviene far qualche riserva intorno all’asserto del Bassi che « nessuna « delle varie imitazioni e derivazioni vergeriane da Quintiliano nel De ingenuis « moribus esce dai libri I e lì della Institutio Oratoria »).