METODO DELL’EDIZIONE LXXIII seguirne ciecamente la lezione; talché, quando occorreva sanare una scorrezione palese o sospettata, abbiamo invocato l’aiuto di P o di C oppur di qualche codice indipendente; e talvolta, ma molto più raramente, abbiamo sostituito alla lezione dei manoscritti un emendamento nostro o altrui. Però, le varianti dei codici citati in testa alle singole epistole sono sempre registrate, nei limiti del possibile, nell’apparato critico; e quivi hanno posto ugualmente non pochi riscontri con i manoscritti secondari, quali sono PM, Ra e G, che, pur essendo derivati dai codici principali, servono tuttavia a chiarire certe difficoltà del testo. Temiamb anzi che il lettore non ci faccia rimprovero d’aver ingombrato l’apparato di troppe inutili varianti; ma, siccome abbiamo dovuto riconoscere, non senza rammarico e con molto consumo di tempo e di fatica, essere vana speranza quella di restituire il testo alla sua forma primitiva, null’altro abbiamo inteso di fare se non mandarlo fuori, non già come quello che Pier Paolo senza fallo scrisse o ricevette dai suoi corrispondenti, ma semplicemente come un’immagine delle scritture originali, immagine còlta da trascrizioni vacillanti e non sempre persuasive, e quindi un’immagine doppiamente soggetta all’errore1. 1 Riguardo all’interpunzione, notiamo che, per regola, nelle proposizioni interrotte da clausole o frasi d’indole parentetica, abbiamo preferito di staccare la frase secondaria dalle parole antecedenti e successive, mediante il doppio uso d’un punto e d’una virgola ( ;----;) anziché chiuderla tra parentesi tonde o tra lineette. Sono chiuse invece tra parentesi ad angolo acuto ( ) le lettere e le parole da noi aggiunte al testo manoscritto, sia per colmare qualche lacuna segnalata nei codici, sia per rimediare all’evidente omissione d'una preposizione o simili. Tale è la norma sempre seguita, tranneché in sei casi (p. 35, r. 24; l