i38 EPISTOLARIO LX. Giovanni da Ravenna W \ p. p. Vergerio M. MuggU, 13 settembre 139$. Le lettere del V. sono sempre per lui causa di gioia, e risvegliano l’antico suo amore per gli studi letterari, tale b la loro efficacia di stile. Quella poi dettata a Santo lo ha rapito come le selve dietro ad Orfeo. Con la sola lode data al maestro Giovanni il V. a-vrebbe potuto comprarsi la più ampia generosità ; ma u. è troppo povero da meritare un siffatto elogio da simile encomiasi! [B, c. 58; P, c. 495 G. «• 1 S4l- Dictione tua quotiens me dignaris, non solum iocunditate reficis, verum suorum flagrantia (b> studiorum ad iuvenilia me iterum S studia residem afficis (*>. ita, medius fidius, vere serioseque omnia ‘describís, ut non auribus verba facere, sed subicere ipsas res oculis videare. altera vero ad Sanctum nostrum epistola ita me rapuit ut secutas Orpheum silvas mirari iam desinam ego certe non te modo sequor, sed tantam splendidissimi oris potestatem colo ac io venerar, unum tamen, sed cum venie prenotatione, audies. qui W gratifica oratione tantum debere magistro Iohanni predicas, hac ipsa littere tue laudatione; omitto sapientie scienti eque tue gloriam, summum suorum in te meritorum premium; quantamlibet liberalitatis amplitudinem emere potuisti. o sors mea tenuis presensque michi 15 nunquam ! ut mallem, que ea foret <0, ut abs te aut simili - sed unde similis? modo non absit - abs te, inquam, hasce gratias <*> (a) Codd. loannes Ravennas P. P. Vergerio s. (b) G suorum gratia (c) G nel-l’inlerl. allicis (d) Codd. mirari non desinam (e) Il Sabbadini propone la pun-teggialura: audies, qui - predicas. hac (f) BG nunquam ut mal[l]em: que ea foret P quod ea foret (g) Codd. sed unde similis : modo non absit : abs te inquam non hasce gratias II secondo non pare ripeti\ione dal non absit (i) Con questa Giovanni da Ravenna risponde ad una lettera indirizzatagli poco innanzi dal V., che non ci è pervenuta. Dalla presente e dal-l’epist. LXII appare che il V. gli aveva contemporaneamente inviato la copia d'una sua « gratifica oratio » ossia epistola dettata a Santo de’ Pellegrini, anch’essa perduta, nella quale furono descritte, forse con soverchio entusiasmo, le benemerenze dell’amico protettore. A far risaltare di più le virtù di Santo, il Nostro s’era lasciato indurre poi in una descrizione, non sappiamo se più vivace o più veritiera, dell’indole degli altri concittadini suoi. Nella medesima lettera a Santo si leggeva pure un accenno a Giovanni quale maestro insigne, cui lo scrittore doveva tanta parte della sua coltura letteraria. Parrebbe che Giovanni, forse non troppo contento del confronto involontario, trovasse esagerata la gratitudine verso Santo professata dal V. ; non volle soffermarsi però su questo punto, cui accenna soltanto con le parole «cum in ceteris minus apte»,e, indirettamente, col lamentarsi della propria povertà, passando poi a rimproverar il V. del suo astio verso la città che gli diede i natali. A questa doppia accusa il V. risponde nell’epist. LXII.