DI PIER PAOLO VERGERIO 275 pro necessitate, sed etiam ad gloriam deputare, si precipuos aliquos nacti fuerint. ego quantum profecerim, viderint alii. omnem certe etatem studiis litterarum impendi: ut et in artihusto, quas diu legi, sum doctor, et in medicina licentiatus, et nunc in utroque iure parem gradum assumere, quod nescio an ulli ante me conti-gerit, et, si Deus dederit, perfectis his studiis, ad lauream contendere statui M. quod genus hominum apud reges maiores in magno semper honore fuit. proinde, si 0>) quis michi congruus locus apud (a) P ut in artibus (b) P fuit. primum si (1) Com’è noto, la diversità dei titoli accademici attribuiti al V. - egli è menzionato perfino il 3 febbraio 1405 semplicemente come « artium et meli dicine doctor » - diede luogo nel passato a non pochi dubbi intorno alla lezione di questo passo. Il Muratori aveva bensì stampato la notizia che il V. si laureò nelle arti, nella medicina, e nel diritto civile e canonico a Padova nel 1404 (ved. Appendice II, doc. x); ma il documento da lui citato fu soltanto recentemente ritrovato, e la notizia stessa sembrava in troppo aperto contrasto con la presente e con i Monumenti dello Studio da meritare considerazione. Il Combi perciò corresse : « Ut et in artibus, quas diu legi, « sum doctor et in medicina - licen-« tiatus et nunc in utroque jure parem «gradum assumere; quod nescio an « ulli ante me contigerit. Et, si Deus « dederit, perfectis his studiis, ad lau-«ream contendere statui». Il Gloria, qualche anno prima, aveva proposto l’emendazione « assumpsi » ; ed il Kopp, nell’articolo intitolato P. P. Verger ius der Aeltere, ein Beitrag zur Geschichte des beginnenden Humanismus in Historisches Jahrbuch, München, vol. XVIII, 1897, p. 292, pensò che la « laurea » poteva forse intendersi di quella poetica, quasi il V. avesse avuto l’ambizione a farsi incoronare dietro l’esempio del Petrarca. Dei nostri codici invece il senso non è men chiaro della sintassi; e quindi dobbiamo soltanto spiegarci come il V. abbia potuto distinguere qui tra il suo grado accademico nelle arti e quello nella medicina, atteso che ottenne la licenza in ambedue queste discipline a Padova in data del 6 marzo 1405, avendo conseguito perfino la licenza in diritto canonico il giorno innanzi. Il 7 marzo, poi, egli ricevette la licenza in diritto civile e fu promosso dottore « in scien-« tiis suprascriptis ». A nostro avviso la spiegazione è la seguente. Al tempo della presente, il V. era bensì dottore nelle arti, grado che consegui a Bologna prima del 1391 (cf. l’epist. LVI, p. 12 5 nota 1); e, col dichiararsi licenziato nella medicina, allorquando non ne aveva ancora subito l’esame, intendeva dir soltanto che, compiuto da molto tempo il corso di studi prescritto, non gli restava che di presentarsi davanti ai dottori della facoltà. È risaputo, del resto, come nel linguaggio non ufficiale dello Studio potesse talvolta chiamarsi «doctor»,ed anzi salire in cattedra, chi avesse soltanto ottenuto la « licentia privati « examinis » ; e similmente i termini « scolaris », « studens », « peritus » esprimono anch’ essi un concetto pressoché uguale all’odierno «studioso». (Cf. A. Gloria, Monumenti cit., I, § 962; Zonta e Brotto, Acta Gra- Gli studi già compiuti cd a cui tuttora si dedica, sono tali da raccomandarlo a siffatto ufficio. Chiede il suo appoggio a questo scopo,