LXVIII PREFAZIONE quali quello dei Padri Riformati (R) fu noto poi allo stesso Combi solamente attraverso le postille registrate dal Papafava nei margini della sua raccolta. Ma, come s’è detto, non era ancora venuta la pienezza dei tempi ; cent’anni più tardi, 1’« emulazione di gentilezza e gene-« rosità » celebrata dal patrizio padovano dovette risorgere tra Carlo Combi e mons. Iacopo Bernardi, e, questa volta, la garbata contessa si risolse a favore del capodistriano '. « Sti Augustini » (epist. C, CXX, CXXXIII, CXXXIIII, CXXXVII, CXXXVIII); 3) « Codex Co. Dominici Polcastri, Padu?» (epist. CXX); e 4) «Codex Ollongo « penes Eruditissimum Virum Co. Dom.cm Polcastrum Patavinum » (epistola CXXXVI). Di questi codici, il secondo sembra identico al presente n. 692 del Seminario di Padova. 1 A Iacopo Bernardi (1813-97), trivigiano, che venne in gran credito ai suoi giorni come educatore e sacerdote di idee liberali (cf. Enciclopedia Italiana, s. v.), toccò, nel 1847, la ventura di predicare la Quaresima a Capodistria; e, durante quel suo soggiorno, che s’estese anche ad altri luoghi della provincia, egli concepì tanto amore alle cose istriane da lasciarne ricordo non solo nelle pregevoli Lettere sull’ Istria, stampate a Capodistria nel 1866, ma pure in altri scritti, che si riferiscono al suo tentativo di far un’edizione delle epistole del Nostro. A questo cómpito egli attese, con molto fervore se con scarsa competenza, per parecchi anni a Venezia, finché, nel 1863, nella speranza che l’opera venisse accolta in uno dei volumi della Miscellanea, alla cui redazione era preposto il comm. Domenico Promis, «Bibliotecario di Sua Maestà », egli fece vedere a questo i primi fascicoli del proprio lavoro; il Promis però «non ne riconobbe l’importanza». Ad onta di ciò, il Bernardi continuava nelle sue ricerche, sino al 1874 all’incirca; nel qual torno di tempo, avendo inteso dal suo amanuense, il quale, con l’aiuto del Valentinelli, stava copiando certi codici nella Marciana, che un altro studioso - Carlo Combi - si occupava da gran tempo del medesimo argomento, egli abbandonò il suo progetto (vedasi, su tutto ciò, il racconto del Bernardi nell’articolo citato più sopra). Notiamo inoltre che, ne’ suoi scritti, il Bernardi accenna a due manoscritti ver-geriani, de’ quali non si rinviene altra notizia. Talvolta egli allude al «codice ch’io possiedo » ; altrove, egli afferma d’aver tratto il testo dell’epist. LXXXXVI dal «codice Petronio». Riguardo al primo, certamente non ragguardevole, possiamo soltanto congetturare ch’egli ne venisse in possesso a Capodistria; nel secondo si può forse ravvisare G o PM.