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EPISTOLARIO
e,' sebben ambedue riferiscano gli atti cJ i detti di uomini ignoranti, ci porgono tuttavia due insegna menti di grandissima utilità per ottenere la grazia di Dio e la pace dell’anima.
 Dicono adunque che c’era un tal Toscanello, i! quale, pur non sapendo medicina, tirava a se molti danari dalla gente per lo più inesperta ma avida di salute.
  Costui, vedendo come spesse volte muoiano i malati
effectus iocando trahi, pro cuiusque solertia proque materia de qua contingit haberi sermonem. michi vero, tametsi imperitorum homi-num dicta factaque fuisse memorentur, plurimum tamen valere visa sunt ad duo, quibus permaxime indiget genus hominum, et sine quibus male nobiscum agitur in hac vita, videlicet (ad) di- 5 vinam gratiam promerendam w et ad componendam quietem mentis humane, si fecerimus que fieri alter monebat, alter vero et faciebat. dicunt enim quendam fuisse, Tuscanellum nomine, qui(b) que-stus gratia medendi, cuius erat ignarus, multa nichilominus huius operis (c) pretexta emolumenta consequebatur, ut sunt homines te- 10 nende^ recuperandeve salutis avidi, pauci vero qui possuntw de artificibus peritis vel imperitis iudicare. hie enim (f), cum videret <*) egros, qui vel ab ipsis famatis <h) medicis diligentissime habentur
(a) B promerendum (b) B Tusclianellum nomine que (c) B opis (d) CR homines quldem tenende (e) C R possint (f ) C R hinc enim (g) R videre (h) B fu-
roatis
autorizzati a prestar fede in pari tempo all’asserta sua dimestichezza con i padri dell’umanesimo e polacco e ungherese; circostanza questa che invita a non poche riflessioni intorno all’importanza del soggiorno del V. in Ungheria per la storia dell’umanesimo stesso.
  Ci resta ora da dire qualche parola su i due racconti che formano l’argomento dell’epistola. Di essi il primo ebbe diffusione larghissima nella « No-« vellistica » del tardo Quattrocento e del Cinquecento attraverso le Con-fabulatioiies ovvero il Facetiarum Liber di Poggio, dove comparisce sotto il num. CCII, riapparendo poi con svariate modificazioni nelle raccolte di Ma-succio Salernitano (a cura di L. Settembrini, Napoli, 1874, p. 406), del Morlino (Hieronimi Morlini Par-thenopei in'ella?, Fabulae, Comoediae, Parigi, 1855, nov. LXVIII, De turista qui tenebat sententias in filzis), e dello Straparola (Le Piacevoli Notti, a cura di G. Rua, Bari,
1927, XIII, x, p. 220), il quale attinse direttamente al Moriino (cf. L. di Francia, NovelUslica, Milano, 1924, pp. 549, 583, 729). Ora, siccome Poggio andava raccogliendo le sue «Facezie», tra il 1438 ed il 1452, nel quale ultimo anno l’opera fu pubblicata (cf. fa-cezi a CCXLIX), la prima stesura del racconto di cui si ha notizia spetta in ogni caso al Nostro; e, poiché il Poggio riferisce l’aneddoto d’un medico di sua conoscenza, si può arguire che la tradizione orale dell’episodio risalga al tempo quando il Bracciolini ed il V. trovavansi insieme in Curia di Roma.
  Riguardo al secondo racconto, notissimo tra il popolo ed assai più antico, giacché in forma alquanto diversa da quella recata dal V., lo si legge nel cosidetto Nm'ellino (num. LXII oppure LXIV: Novella d’uno fedele e d’uno signore); il D’Ancona (Studi di critica e storia letteraria, Bologna, 1912, parte II, p. 131) afferma che deriva dal Talmud.