do intero, si da t r a r motivo da quella per abbandonar Gregorio XII senza indugio. 324 EPISTOLARIO cunctandum amplius negas, ante quam vel prò beneficio W manen-dum fortasse non fuerat. nec me quidem fallit omnes, qui hic (a) P per benefidum tito apertamente contro Gregorio XII se non dopo la sentenza di deposizione pronunciata dal concilio di Pisa e la elezione di Alessandro V (5 e 26 giugno 1409); laddove, se egli non avesse rinunciato alla sua nomina, da parte di quel capitolo, a vescovo di Padova - sede che la Repubblica voleva fosse coperta da un patrizio veneto -egli avrebbe pur dovuto ottenerne la conferma da Gregorio XII, il quale difatti vi trasferì, il 15 luglio 1409, il vescovo di Ceneda, Pietro Marcello (cf. L. Schmitz, loc. cit-, p. 253, nota 2; G. Zonta, op. cit., p. 47). In secondo luogo, l’ingiuria da parte de’ Gregoriani, di cui il V. si lagna in questa lettera, è quasi indubbiamente - chè di ciò noi non possiamo avere la certezza - l’avventura toccatagli a Venezia, la sera del 18 luglio 1409, allorquando un nipote di Gregorio XII, Francesco di Filippo Correr, procuratore di S. Marco, scorgendolo in una barca ferrarese e credendo che volesse recarsi a Pisa da Alessandro V, lo fece arrestare da Benedetto Venier, capo del sestiere di S. Marco, e lo tenne incarcerato per quella notte in casa sua; non solo, ma quando i due partigiani furono accusati separatamente davanti al Consiglio de’ Pregadi dagli « avoga-«dori de comun», il 20 ed il 23 luglio, «captum fuit», in ciascun caso, «de «non procedendo, et remansit abso-« lutus » (cf. R. Cessi, Uh’ avventura di Pietro Paolo Vergerlo Seniore in Giorn. stor. della Lett. ital., voi. LIV, 1909, p. 391 sgg., dove si trovano i relativi documenti deU’Archiv. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Raspe, VI, 1, 64). Ora, lasciando da parte la questione se veramente il V. si trovasse quel giovedì sopra un « bur- «chium Ferarie» col proposito di recarsi a Pisa ; gli atti di accusa dicono bensì « qui ibat ad curiam » e « qui «ibat Pissas», ma forse ciò risponde più ai sospetti de’ Gregoriani che non al proposito del Nostro, e risulta inoltre che Gregorio stesso, inviando (2 agosto) due vescovi a Venezia per trattare affari, diede loro l’ordine di trattenere per via tutti coloro che avessero l’obbligo di partecipare al suo concilio ; è pur vero, come confessa il V. in questa lettera, eh’ egli non s’ era ancora deciso di abbandonare la causa del pontefice, e parrebbe anzi che perfin dopo « l’ingiuria » egli nutrisse qualche speranza d’un beneficio, fosse a Cividale od altrove. Ma v’ ha di più. Siccome due documenti a rogito del notaio Rantulfo del Tacco (archivio Civico di Capodistria, voi. XV, p. non num.) ricordano due accordi raggiunti tra il Nostro e due concittadini suoi, in data della domenica precedente (14 luglio), è chiaro eh’ egli s’era portato a Venezia direttamente da casa sua. (Trat-tavasi, per quel che si può leggere della pagina talmente guasta dall’umidità da esser solo in parte decifrabile, dell’erezione abusiva, prima, d’una grondaia da parte di certo Bernardo Lupo, la qual grondaia faceva scolare l’acqua piovana sopra l’orto e la casa deH’«excellentissimi Petri Pauli «de Ver^eriis de Iustinopoli, «utriusque iuris doctoris», e, nel secondo luogo, di un’« altana cum « mudionis lapideis ad balchionem de-« super scalis lapideis introytus casa-« lium » del medesimo, fatta costruire dal mercatante Iacopo del Bello; tutte e due « in dampnum et preiudicium « iurium dicti domini Petri Pauli » ;