GIUNTE P. 27, r. )j. Cf. Sen., Epist. ad Lue. LV, 8 : « ani-« mus est, qui sibi commendet omnia ». P. 32, r. 9. Il V. forse allude qui a qualche passo presso gli apocrifi narratori della guerra di Troia. Cf. Daret. Phrygii De excidio Troiae hist. cap. xn: « Pria-« munì Troianorum regem vultu pul-« chro, magnum, voce suavi, aquilino «corporea. Più sotto il V. dice di Francesco Novello: «et prole et coniu-« gio felix videri potes », e le stesse parole « felix coniugio » son dette di Priamo nel v. 2 del libro II della versione metrica del De excidio fatta (circa 1185) da Iosephus Anglicus oppur Iscanus, versione assai diffusa e citata anche dal Salutati. Tuttavia, nella «descri-« ptio Priami » (libro IV) non abbiamo rinvenuta alcuna frase simile a « species digna imperio » (cf., per questi passi della versione metrica, il testo pubblicato in Belli Troiani Scrip-tores, Basileae, MDLXXIII, p. 236 e P- 277)- P. 86, r. 12. Cf. Cic. Epist. ad fam. XI, vi, 1 : « tua mihi mandata diligentissime expo-«suit et litteras reddidit». P. 104, nota. La fonte a cui il V. attinse, sembra piuttosto Boet. Phil. cons. I, prosa iv: «Atqui tu hanc sententiam Platonis « ore sanxisti : ‘ beatas fore respublicas, « si eas vel studiosi sapientiae regerent « vel earum rectores studere sapientiae « contigisset ’ ». P. 121, r. 13. Troppo tardi ci giunse notizia dello studio di P. Paschini su Antonio Cae-tani cardinale Aquileiese (ved. p. 316, nota 1) perchè ce ne potessimo giovare a chiarire l’identità di codesto amico di Santo. Egli sarà certamente quel Moschino della Torre, il quale, in data del 17 febbraio 1599, accompagnatosi a Giovanni de’ Cavalcanti, fu incaricato dal comune di Udine di andare a Portogruaro incontro al Caetani che tornava a Venezia; e più tardi, il 4 marzo 1401, fu dallo stesso Caetani nominato uno de’ tre luogotenenti che dovevano reggere il patriarcato durante l’assenza di quest’ultimo, recatosi ai bagni in Puglia (op. cit., p. 176 e p. 180). P. 1)9, r. 16. Per gradita comunicazione del professore Bruno Nardi siamo ora in grado di additare la fonte del detto aristotelico, che deriva da Diogenes Laer-tius, XI, 19 (ed. H. G. Hùbner, Leipzig, 1828, voi. I, p. 325): «7rpò<; tòv xaux-« ¡xevov &7tò neydi\rj<; TtóXec05 sIt), «où toOto, £97], Set crxo7retv, ¿XX’ « 5art( (xeyàXiJ? 7rarpi8o; à$i6; èoxiv ». Il Ravennate l’avrà citato dal Burley (Gualterus Burlaeus), Libellus de vita et moribus philosophorum (ed. Knust, Tubingen, 1886, p. 240), che attinge al compendio latino di Diogene Laerzio, attribuito ad Enrico Aristippo. A questo compendio accenna altresì il giudice padovano Geremia da Montagnone nel Compendium moralium notabilium da lui composto al principio del Trecento (cf. R. Sabbadini, Le scoperte cit., voi. I, p. 218-9).