XXVI PREFAZIONE pivano tanta parte dell’esistenza de’ suoi colleghi -Leonardo Bruni, Poggio, Iacopo Angeli; - e come man mano il suo pensiero si fermasse quasi esclusivamente sopra le gravi questioni dello scisma e della riforma, dimodoché, col predicare la necessità di effettuare questa e di por fine a quello, egli si procacciò l’inimicizia de’ fautori del tergiversante Gregorio XII, e fu da loro incessantemente vessato. Di qui dunque le molte querimonie che si leggono soprattutto nelle epistole spettanti agli ultimi tre anni di questo periodo. Tuttavia, a differenza dello Zabarella, egli non s’appigliò ancora al partito de’ cardinali dissidenti radunatisi a Pisa; ma, parte per la stima che gli ispirava il mite carattere del vecchio pontefice, parte per il desiderio di provvedersi d’un benefizio nell’Italia superiore, lo accompagnò in tutte le sue peregrinazioni sino al concilio di Cividale. Fallito questo, e vedendo infruttuose tutte le sue pratiche così in prò della pace come per se stesso, egli si ritirò, sembra, a Capodistria, e per due anni (giugno 1409-giugno 1411) ci manca ogni notizia sul suo conto. A mezzo il 1411, la promozione dello Zabarella al cardinalato porse al Nostro l’occasione di riprendere il carteggio rimasto stranamente interrotto, e un manipolo di lettere dettate nel 1411 e nel 1412 da Capodistria attesta com’egli nutrisse la speranza di recarsi tra breve presso l’amico, pur essendo sconsigliato da Zaccaria Trevisan dall’avventurarsi di bel nuovo nei vortici della Curia (epist. CXXIIII-CXXXI). Nondimeno egli ebbe a trattenersi per un biennio ancora, forse in patria, a cagione delle estenuanti cure che assillavano lo Zabarella; ma anche questi due anni passarono, e,