5°6 Telegrammi romani [1.V.19] Da una parte si lascia tempo alla delegazione di tornare a Parigi, e le si assegnano esattamente quattro giorni per essere presente alla consegna del trattato ai tedeschi, dall’altra ci si mette il coltello alla gola con la decisione già presa su due questioni per noi capitali: il riconoscimento del Regno unito serbo-croato-sloveno e la convocazione degli austriaci e degli ungheresi; e con la minaccia ormai tradotta in atto dell’esclusione dell’Italia dalle consegne di carbone in conto riparazioni. Stiliamo un telegramma collettivo ufficiale per Roma firmato da me, da Imperiali, Bonin, Cellere e De Martino, che rende conto del colloquio con Pichon (1). E poi io redigo un lungo telegramma personale a Orlando, nel quale esprimo tutto il mio pensiero e il mio rammarico per quanto sta avvenendo, segnalo i punti dei suoi telegrammi che mi hanno più rattristato, e insisto per direttive chiare e azione rapida e risolutiva. Vengo a sapere che i Tre hanno oggi anche discusso circa la ripartizione delle somme che si percepiranno in conto riparazioni. Che si voglia escluderne l’Italia? La gravità della situazione politica si complicherebbe con la gravissima nostra situazione finanziaria. A tarda sera arriva a De Martino un telegramma di Son-nino, il quale assicura che i nostri telegrammi collettivi sono sempre comunicati a Orlando; e un altro telegramma nel quale incarica gli ambasciatori di fare proteste e riserve presso gli alleati e l’associato circa l’attacco degli jugoslavi in direzione di Villach e Klagenfurt (2). E a me arriva pure un telegramma di Sonnino, che dimostra più chiaramente, se ce ne fosse ancora bisogno, che a Roma deve regnare la confusione: si direbbe che i nostri telegrammi collettivi non sono letti neppure da Sonnino. Infatti Sonnino mi prega di tenere al corrente De Martino (1) Vedasi documento n. 26. (2) Vedansi documenti n. 27 e 28.