570 Colloquio Crespi-Trumbic [16.V.19] Un accordo che preludesse a una sincera amicizia fra i popoli vicini sarebbe di immenso vantaggio per tutti. Trum-bic conviene, ma è freddo, altezzoso. Io propongo subito di chiarire il punto più scabroso: Fiume. Ricordo tutte le manifestazioni di italianità della città contesa. Dichiaro che l’Italia è legata da una questione di sentimento nazionale: non fa questione d’interesse. È pronta ad offrire tutti i possibili vantaggi all’hinterland di Fiume. Che cosa può chiedere la Jugoslavia, che è interessata meno dell’Ungheria? La risposta è secca. «Non ho nulla da chiedere». Resto male, ma ho deciso di essere gentile al di là del credibile. E allora offro io. Offro ogni facilità di traffico. Offro di attrezzare un porto per la Jugoslavia. Nessuna risposta. Offro di proporre al mio Governo di sostenere tutte le spese per l’attrezzatura di un porto; poi offro anche di costruire una ferrovia d’accesso. Tutte le mie parole cadono nel vuoto. E allora chiedo: « Ma insomma, che cosa pensate circa l’avvenire dell’italianissima Fiume? » Risposta: « La questione è molto difficile ». Non perdo ancora la pazienza e passo a discutere di Zara, di Sebenico, di Traù, di Spalato, delle isole. Trumbic non contesta le mie ragioni. Sta a sentire, cortese, ma freddo, ermetico. Dopo un’ora di discorsi, ho esaurito ogni argomento e chiedo: « Non ha risposta a tutto quanto le ho detto? ». — « Non ne ho per ora. Si tratta di questioni tanto difficili ». — « Questo me lo ha già detto. Ma doveva pensarci prima di chiedermi un colloquio. Cosi Ella non ha fatto che perdere tempo e farlo perdere anche a me, perché il suo contegno mi obbliga a dichiararle che ritiro ogni proposta, e la prego di considerare il nostro colloquio come non avvenuto ». « Non ho chiesto io il colloquio; credo piuttosto che l’abbia chiesto la delegazione italiana ». « Sono comuni amici che hanno voluto l’incontro. Si sono sbagliati. Ecco tutto. L’Italia tien ferme le sue rivendicazioni e non ho altro da aggiungere ».