250 Lord Robert Cecil e Fiume [3°.i.i9] conferenza tollerano mal volentieri la compagnia di Son-. nino. Io mi sento vivamente offeso da queste gratuite affermazioni e rispondo per le rime. A un certo punto esclamo: « Ma quale colpa potete fare a Sonnino? Di aver chiesto un trattato per la nostra entrata in guerra? Ma non è forse un trattato assai modesto, che garantisce appena la sicurezza all’Italia e i suoi giusti confini? Che cosa domandiamo noi in più per aver sfasciato l’impero absburgico e per aver vinto la guerra? La piccola città italianissima di Fiume! » Alla parola Fiume, Lord Cecil si fa rosso in viso, e battendo il pugno sul bracciolo della vettura, grida eccitatissimo: «Fiume! Tou will never gel il!» (Non l’avrete mai!). Il tono, il gesto, lo sguardo, mi fanno comprendere di avere di fronte una decisione meditata, matura. Non è una frase sfuggita a un singolo ministro, ma 'è il pensiero del Governo britannico. Torno all’Hótel Edouard VII e racconto la scena ad Orlando. Gli faccio osservare che Fiume non è un interesse americano, ma un’ideologia americana. Fiume può invece essere un interesse inglese, perché so che la Cunard Line vi ha posto seriamente gli occhi addosso. Ecco perché si vuol farne una città libera. Sarebbe un porto inglese con penetrazione in tutto il retroterra danubiano e balcanico, e l’avvenire di Trieste sarebbe gravemente compromesso. Anche Orlando è profondamente impressionato. Comprendiamo che la partita sarà durissima, avendo contro americani e inglesi oltre che francesi e jugoslavi: è quasi una partita disperata. Intanto il Consiglio delle grandi Nazioni, o Consiglio dei Dieci, detto thè Big Ten (i dieci pezzi grossi), si occupa dei conflitti armati fra polacchi e cechi nella zona di Te-schen, e vi manda una commissione militare per studiare i giusti confini. Si parla sempre molto della spartizione delle colonie te-